Portalecce volentieri ripropone l’articolo apparso sabato scorso su “Nuovo Quotidiano di Puglia” a firma del vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca, mons. Vito Angiuli.
Dostoevskij è lo scrittore che incarna il difficile e controverso rapporto di amore e odio, vicinanza e distanza, accordo e conflitto che esiste tra la Russia e l’Occidente. La sua vicenda letteraria è la migliore espressione di un dramma che non è solo di natura culturale, ma che investe la storia, i rapporti bilaterali tra gli Stati e le relazioni internazionali, a partire dalla città ispiratrice dei suoi romanzi, San Pietroburgo, luogo ideale e simbolico della sua grande produzione artistica.
Nell’intenzione dello zar Pietro I, San Pietroburgo doveva diventare la capitale, il centro e il cuore dell’impero, inseguendo il sogno della “nuova Roma”, per ricollocare la Russia nel sistema della civiltà europea. La leggenda narra che San Pietroburgo, denominata la Palmyra settentrionale, sia stata creata in cielo e sia atterrata sulle paludi della Neva. A tal proposito, lo scrittore russo Nikolaj Berdjaev, attesta: «Pietroburgo è nata dal nulla, dalle nebbie della palude a opera della volontà magica di Pietro […]. Il Dostoevskij del radicamento al suolo amava i personaggi sradicati, e questi potevano esistere solo nell’atmosfera di Pietroburgo. Pietroburgo, a differenza di Mosca, è una città catastrofica»1.
Di catastrofi, infatti, parlano i romanzi di Dostoevskij. Delle trenta o poco più opere che egli ha scritto «in venti di esse è presente Pietroburgo: talvolta come sfondo, più spesso come protagonista. Con maggior e minore approssimazione si possono individuare i luoghi legati a ciascuna delle opere pietroburghesi. Pietroburgo è la migliore illustrazione dei suoi romanzi»2. Ed è anche il simbolo della sua ammirazione e della feroce critica all’Occidente.
In una pagina del “Diario” del 1876, Dostoevskij manifesta il desiderio inconscio della Russia, continuamente rifiutato dall’Europa, di essere riconosciuta come nazione civile: «Da ormai duecento anni l’Europa vive con la Russia, che con forza ha cercato di essere accettata nell’unione europea dei popoli, nella civiltà; ma l’Europa l’ha sempre guardata storto, presentendovi qualcosa di brutto, come un fatale enigma, comparso Dio solo sa da dove, e che bisogna comunque risolvere ad ogni costo» . Per questo in una lettera, egli sfoga tutta la sua amarezza: «Se sapeste che innato ribrezzo, divenuto odio, ha suscitato in me l’Europa»3.
Nel pamphlet, “Note invernali su impressioni estive”, in modo particolare, egli annota i suoi giudizi sull’Occidente. Scritto nell’inverno a cavallo tra il 1862 e il 1863, il testo è una sorta di reportage storico-filosofico dove sono condensate le sue impressioni al ritorno dal primo viaggio in Europa, dove aveva visitato Berlino, Dresda, Wiesbaden, Baden-Baden, Colonia, Parigi, Londra, Lucerna, Ginevra, Genova, Firenze, Milano, Venezia e Vienna. Soggiornando in queste città sarà folgorato dai lunghi viali illuminati da fasci ardenti di gas e dai bagliori delle case. A Firenze, rimarrà incantato dalla “Porta del Paradiso”, il capolavoro del Ghiberti e in una lettera scriverà: «Firenze è bella […] E quali tesori si trovano nelle gallerie! Mio Dio! Nel 1863 (in realtà era il 1862) notai la “Madonna della Seggiola”. L’ho guardata per una settimana e soltanto ora l’ho vista. Ma, oltre ad essa, quante altre cose divine ci sono!». Nel gennaio 1869, proprio a Firenze, completerà il romanzo “L’Idiota” celebre per l’idea della bellezza che salva il mondo.
Negli anni successivi compirà altri viaggi in Europa che gli sveleranno quello che, a suo giudizio, è il vero volto della civiltà occidentale. In sostanza, pur ammirando i paesaggi e le grandi bellezze culturali europee, Dostoevskij traccerà un quadro impietoso, attaccando il modello borghese e sottolineando la dissolutezza morale che si nasconde dietro i luccichii accecanti delle città. Metterà, pertanto, in guardia l’impero russo dall’imitare il modello occidentale, e cercherà di frenare la corsa al “sogno europeo”.
La sua critica pungente si focalizza sulla contraddizione e sull’ipocrisia della società occidentale che, da una parte, proclama la fraternità universale e, dall’altra, è affetta dal desiderio di primeggiare e accrescere il proprio potere, dominando sugli altri popoli. A suo giudizio, il vero motore dell’Europa è l’individualismo, una tendenza che esalta la sua sete di dominio universale. Per questo scrive: «Non può una sola piccola parte dell’umanità tenere in schiavitù tutto il resto del mondo, ma è proprio per questo unico scopo che fino ad ora sono state formate tutte le istituzioni civili (già da tempo non più cristiane) dell’Europa ora completamente pagana»4.
La perdita della tradizione cristiana è, a suo avviso, la debolezza intrinseca dell’Europa. «L’Occidente ha perduto Cristo; questa è la ragione per cui l’Occidente sta per morire, solo per questa ragione»5. A fronte di questa situazione, la Russia ha un compito storico: «Opporvi resistenza e senza indugiare, al più presto! Bisogna, per resistere all’Occidente, che il nostro Cristo risplenda, il Cristo che noi abbiamo conservato e ch’essi non conoscono! Non dobbiamo servilmente lasciarci pigliare all’amo dai gesuiti, dobbiamo invece comparire dinanzi a loro, portando loro la nostra civiltà russa»6.
Siamo di fronte a un paradosso: Dostoevskij critica l’Occidente, mentre filosofi e scrittori occidentali, tra i quali Nietzsche, Thomas Mann, Freud, Julia Kristeva, Jonathan Franzen, il premio Nobel Orhan Pamuk, apprezzeranno il suo genio e ammireranno la sua arte molto più di tanti suoi connazionali russi. Rimane, tuttavia, la domanda: la sua critica all’Occidente non contiene forse un fondo di verità?
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[1] La citazione è in V. Kantor, Dostoevskij in dialogo con l’Occidente, Amor Edizioni, Venezia Mestre 2022, p. 16.
[2] Ivi, p. 13-14,
[3] F. Dostoevskij, La bellezza salverà il mondo. Pensieri. Aforismi. Polemiche, a cura di C. Sugliano, De Piante Editore, Varese, 2021, p. 127.
[4] Ivi, p.125.
[5]Ivi.
[6] Id., Dostoevskij, Lettera a Nikolaj Strachov, 30 maggio 1871.
[7] Id., L’idiota, Garzanti, Milano, 1978, vol. II, p. 689.