Mi chiedo quanto ancora abbia senso parlare del “ruolo” dei cattolici nella politica. A scanso di equivoci dico subito che è proprio dell’essere cattolici la dimensione politica: una fede che non si incarna nelle pieghe più drammatiche e complesse della vicenda umana e si traduce in progetto di liberazione, si riduce a mera ideologia, a religione civile.
Perde la sua sostanza teologica ed escatologica: ci è stato insegnato infatti che il cristianesimo è prendere parte, a partire dalla parte migliore che è l’ascolto della Parola. Dall’ascolto discende la lettura dei segni dei tempi, l’invito a scendere da cavallo e a chinarsi sull’uomo ferito, derubato, scartato, la rottura degli ormeggi del formalismo religioso e del tradizionalismo bigotto, l’apertura all’altro, la scommessa sulla vita di tutti, l’adesione ad una prospettiva paradossale: si è nella storia ma non si è della storia, si è segno di contraddizione per cui non c’è mai uno status quo insuperabile, un limite invalicabile, un confine irresistibile.
Proprio una fede paradossale dovrebbe spingere il cattolico non solo a disertare i fronti politici in cui il primato non è della persona ma di un fantomatico popolo (quale popolo in una crescente globalizzazione?), di una malintesa nazione, di un bieco sovranismo fondato sull’odio e sulla discriminazione, ma anche a non immaginarsi all’interno di un fronte compatto. C’è un retro pensiero non detto dietro il tema del ruolo dei cattolici in politica: il ritorno a forme di presenza ormai superate della storia: la Democrazia Cristiana di De Gasperi, di Dossetti e di Moro aveva, grazie alla influenza esercitata da Montini, il mondo cattolico pressoché unanime quale proprio retroterra elettorale, reso ancora più granitico a causa del pericolo comunista. Il crollo del muro di Berlino oltre alla fine del maggior competitore della Dc, ha prodotto la fine dell’unità politica dei cattolici.
Oggi non è più Maritain, il filosofo francese che ha dato sostanza culturale ai vari partiti d’ispirazione cristiana in Europa, semmai un altro filosofo francese, tra i fondatori del personalismo comunitario, Mounier che aiuta a cogliere le nuove modalità in cui può prendere corpo l’impegno politico del cristiano: una responsabilità esercitata in proprio senza nessun coinvolgimento della comunità ecclesiale; in autonomia, cioè laicamente senza alcun richiamo a simboli religiosi e a legittimazioni clericali.
La questione, a questo punto, si esprime nella seguente domanda: ci sono cattolici che incarnano questa spiritualità? E prima ancora: ci sono cattolici che sono stati formati a scommettere la propria responsabilità politica nella dimensione escatologica dell’essere segno di contraddizione?
È del tutto evidente che in questo momento storico si assiste ad uno iato crescente tra la pastorale evangelica di Papa Francesco e la maggioranza dei battezzati. Non è una novità. Anche negli anni del nazionalismo fascista la maggioranza dei cattolici aderiva ai proclami di allora. La stessa gerarchia garantiva una certa copertura ecclesiastica al regime, forte del sostegno Vaticano.
Oggi tanti battezzati fanno difficoltà a recepire le linee del magistero del Papa: non è un caso che lo stesso pontefice abbia insistito di recente sullo stato di ricezione delle indicazioni pastorali contenute nel discorso pronunciato in occasione del convegno ecclesiale di Firenze del 2015. Chi si ricorda le parole del Papa? Quante sono le diocesi che hanno abbozzato qualche orientamento pastorale nella direzione del cambiamento auspicata da Francesco? Ciò che sconcerta non sono quei pochi che hanno il coraggio di dissentire e che servendosi abilmente dei moderni canali di comunicazione rumoreggiano come se fossero intere schiere di oppositori. Sconcerta la maggioranza legata al “si è fatto sempre così”. Che non si lascia interrogare sulla qualità del proprie convinzioni religiose.
“Più la Chiesa si riforma e si conforma al Cristo Signore - osserva Enzo Bianchi - meno nella Chiesa si sta quieti, ma emergono la divisione, la contrapposizione, la contraddizione… Cristiani che si dicono tali e si pongono quali difensori dell’identità confessionale, ma poi restano sordi alla voce del Vangelo; e d’altra parte cristiani che, dando il primato al Vangelo e non alle tradizioni religiose umane, sono disprezzati, giudicati ingenui, buonisti o addirittura vigliacchi: cristiani del campanile e cristiani del Vangelo!”. I primi, nonostante l’insegnamento di Francesco sembrano prevalere. Non può essere diversamente fino a quando la religione, come insieme di abitudini e di consuetudini, non cederà il passo ad una fede adulta, fatta più di ascolto che di prediche.
A tal fine un ruolo importante possono avere alcuni luoghi di pensiero come le scuole di formazione politica promosse sul territorio da diocesi e associazioni laicali, la stessa Università Cattolica. Ma non basta. Tanto per iniziare, forse, ci vorrebbe un Sinodo della Chiesa italiana, occasione privilegiata per aprire le finestre e far cambiare l’aria, in cui con franchezza e coraggio si cominci davvero a creare un opinione pubblica nella Chiesa.
E pazienza se poi dal confronto schietto e trasparente si esca divisi: o sinceramente “lievito e sale” o sinceramente “mondani”. Sul piano politico: o sinceramente conservatori o sinceramente democratici. Solo a questo punto si potrà parlare del ruolo dei cattolici nel dibattito politico, non a partire da un’etichetta astratta ma dalle soluzioni concrete alle questioni riguardanti la vita delle persone e delle comunità.