Torna a sollevarsi come ogni anno la questione relativa alla presenza nella scuola del presepe, balzata ancor di più all’attenzione dei social all’indomani della pubblicazione del documento di Papa Francesco in cui si torna a chiedere accoratamente di fare il presepe nelle scuole, nelle case, nei luoghi pubblici.
E puntualmente si è ripresentato il dibattito acceso tra chi si dichiara d’accordo con quanto espresso dal Papa e chi, invece, vede nel presepe l’ennesima ingerenza della religione cattolica, confessionale, nella scuola pubblica, espressione dello Stato laico. Personalmente non credo affatto che la questione del fare o non fare il presepe nelle scuole sia sollevata da rappresentanti di altre religioni, credo piuttosto che essa è sollevata invece da rappresentanti della cultura occidentale, magari appartenenti a quelle stesse correnti che nei decenni passati spingevano a sorvolare sullo studio della Divina Commedia di Dante, solo perché informata alla fede cristiana.
Eppure le radici dell’Europa oltre a trovare origine nella razionalità greca e nel diritto romano trovano nella predicazione cristiana l’unica vera rivoluzione che la storia conosca.
È il pensiero di Benedetto Croce e non valgono a confutarlo i balbettii storici di qualche logico matematico o di qualche giornalista alla moda, ai quali farebbe bene, lo studio di un buon manuale di storia.
Il presepe parla di pace: presenta pacificati addirittura il lupo e l’agnello, il capretto e il leopardo. Davanti alla mangiatoia in cui è adagiato il Bimbo Divino; si presentano ad adorarlo i più poveri e disprezzati tra le categorie sociali, i pastori, ma anche i re e sapienti, che vengono dall’Oriente. Il presepe è arte e cultura, momento “sapienziale” che non può offendere chi abbia un’altra fede, un’altra religione. Può offendere solo chi abbia la fede assoluta in una “ragione” disincarnata e disumanizzata che, incapace di riconosce i propri limiti, è inadeguata anche (e di conseguenza) a comprendere le “ragioni” profonde della storia e dell’arte.
Noi, invece, ci fermiamo dinanzi al presepe, dalla cui consuetudine ricaviamo speranza e forza per l’avvenire. Quell’avvenire che la scuola si impegna a progettare insieme con i suoi alunni, aiutandoli a riscoprire il senso della memoria, dell’importanza delle proprie radici per poter essere in futuro cittadini autentici, capaci di orizzonti culturali liberi da qualsivoglia pregiudizio e separazione. Negare o giustificare la mancanza di un segno, quale il presepe nelle scuole, non è principio di rispetto della diversità religiosa, quanto piuttosto timore di riappropriarsi di spazi ceduti nel solco dell’indifferenza piuttosto che del rispetto per l’altrui fede. Abbiamo dimenticato, a volte svenduto, le nostre radici e oggi è terribilmente difficile affermare l’importanza delle nostre ragioni.
Eppure il messaggio che si riceve da questo segno è universalmente valido, accomuna tutte le fedi crea un ponte immenso in una umanità dilaniata dall’odio, dalle guerre, dalla perdita di senso, dalla disumanizzazione: “Beati i costruttori di pace! Quella pace che si costruisce nell’accoglienza e nella condivisione, percorsi obbligati per continuare ad essere credibili testimoni della gioia cristiana.
*Dirigente scolastica Scuola media “A. Grandi” - Lecce
Il presepe a scuola? Offende solo chi crede in una ‘ragione’ disincarnata e disumanizzata
Maria Rosaria Manca*
Torna a sollevarsi come ogni anno la questione relativa alla presenza nella scuola del presepe, balzata ancor di più all’attenzione dei social all’indomani della pubblicazione del documento di Papa Francesco in cui si torna a chiedere accoratamente di fare il presepe nelle scuole, nelle case, nei luoghi pubblici.
E puntualmente si è ripresentato il dibattito acceso tra chi si dichiara d’accordo con quanto espresso dal Papa e chi, invece, vede nel presepe l’ennesima ingerenza della religione cattolica, confessionale, nella scuola pubblica, espressione dello Stato laico. Personalmente non credo affatto che la questione del fare o non fare il presepe nelle scuole sia sollevata da rappresentanti di altre religioni, credo piuttosto che essa è sollevata invece da rappresentanti della cultura occidentale, magari appartenenti a quelle stesse correnti che nei decenni passati spingevano a sorvolare sullo studio della Divina Commedia di Dante, solo perché informata alla fede cristiana.
Eppure le radici dell’Europa oltre a trovare origine nella razionalità greca e nel diritto romano trovano nella predicazione cristiana l’unica vera rivoluzione che la storia conosca.
È il pensiero di Benedetto Croce e non valgono a confutarlo i balbettii storici di qualche logico matematico o di qualche giornalista alla moda, ai quali farebbe bene, lo studio di un buon manuale di storia.
Il presepe parla di pace: presenta pacificati addirittura il lupo e l’agnello, il capretto e il leopardo. Davanti alla mangiatoia in cui è adagiato il Bimbo Divino; si presentano ad adorarlo i più poveri e disprezzati tra le categorie sociali, i pastori, ma anche i re e sapienti, che vengono dall’Oriente. Il presepe è arte e cultura, momento “sapienziale” che non può offendere chi abbia un’altra fede, un’altra religione. Può offendere solo chi abbia la fede assoluta in una “ragione” disincarnata e disumanizzata che, incapace di riconosce i propri limiti, è inadeguata anche (e di conseguenza) a comprendere le “ragioni” profonde della storia e dell’arte.
Noi, invece, ci fermiamo dinanzi al presepe, dalla cui consuetudine ricaviamo speranza e forza per l’avvenire. Quell’avvenire che la scuola si impegna a progettare insieme con i suoi alunni, aiutandoli a riscoprire il senso della memoria, dell’importanza delle proprie radici per poter essere in futuro cittadini autentici, capaci di orizzonti culturali liberi da qualsivoglia pregiudizio e separazione. Negare o giustificare la mancanza di un segno, quale il presepe nelle scuole, non è principio di rispetto della diversità religiosa, quanto piuttosto timore di riappropriarsi di spazi ceduti nel solco dell’indifferenza piuttosto che del rispetto per l’altrui fede. Abbiamo dimenticato, a volte svenduto, le nostre radici e oggi è terribilmente difficile affermare l’importanza delle nostre ragioni.
Eppure il messaggio che si riceve da questo segno è universalmente valido, accomuna tutte le fedi crea un ponte immenso in una umanità dilaniata dall’odio, dalle guerre, dalla perdita di senso, dalla disumanizzazione: “Beati i costruttori di pace! Quella pace che si costruisce nell’accoglienza e nella condivisione, percorsi obbligati per continuare ad essere credibili testimoni della gioia cristiana.
*Dirigente scolastica Scuola media “A. Grandi” - Lecce