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Il ricordo dell’arcivescovo mons. Cosmo Francesco Ruppi non può non fare riferimento alla sua attività di docente.

Educato da un’amorevolissima ma esigente mamma, rimasta presto vedova con quattro figli da crescere e formare, egli aveva compiuto con impegno e ottimi risultati i diversi percorsi scolastici e universitari.

Era certamente un uomo di studio e un ricercatore appassionato, costantemente proteso a incrementare la propria cultura, sviluppare la personalità ed elaborare percorsi d’inculturazione.

Suo alunno per tre anni, ricordo chiaramente che la sua soddisfazione di insegnare e educare era proprio visibile.

“Non sarà una storia per la storia, ma una storia per la vita e la nostra vita nella Chiesa. Una storia, cioè, che, riscoprendo fenomeni e avvenimenti del tempo passato, consente di capire le “forzature” operate sulla testa dei nostri antenati, per ammonirci a non ripetere gli stessi errori dell’XI secolo”, scriveva appunto nell’Introduzione al suo volume La latinizzazione del Mezzogiorno d’Italia.

Il suo curricolo attestava: “Ha insegnato Lettere per sette anni Seminario vescovile di Conversano. Nell’ottobre 1961 è stato nominato professore nei seminari pontifici della Congregazione dei seminari e delle università degli studi: nel 1961 è straordinario di filosofia e filosofia teoretica; nell’anno 1962 è nominato ordinario delle predette discipline e incaricato di pedagogia, psicologia, sociologia ed economia politica”.

Compito svolto per tredici anni nel Seminario regionale di Molfetta, prima di essere nominato presso l’Istituto superiore di Teologia ecumenica di Bari.

Scientificamente fermo sul principio che la storia deve presentare “le cose veramente accadute e che le interpretazioni dei fatti devono essere in sintonia con essi e non devono invece sopraffarli”, era convinto che lo studio degli eventi storici possa contribuire a modellare positivamente la vita individuale e comunitaria: “Quello che è avvenuto novecento anni fa potrebbe avvenire oggi”, per cui occorre “che non si ripetano i medesimi errori e si tragga utile insegnamento da quanto allora è accaduto”, ammoniva nella conclusione nel citato libro.

Visse il suo incarico di docente proprio come un mandato di formazione umana ed ecclesiale del futuro clero di Puglia.

 

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