È abbastanza noto che il museo, nella seconda metà del secolo XIX, diventa il luogo di rappresentanza della borghesia, “luogo di mistiche contemplazioni, paradiso estetico”.
Il senso di riservatezza e di esclusività ben presto comportò una esclusione di tutta una classe sociale che, anche urbanisticamente, occupava luoghi periferici o, comunque, fuori dai circuiti raffinati e nobilitati. Questo stato di cose emerge maggiormente nel 1875 con Ruggero Bonghi, Ministro della P. I. dal 1874 al 1876.
È bene, però, chiarire che grazie a Bonghi si avvia la prima azione di tutela e di salvaguardia dei beni artistici ed archeologici dell’Italia unita. Nel 1875, dunque, dopo un anno in regime di prova, è introdotta su tutto il territorio nazionale la “tassa d’ingresso nella misura di Lire 1 per unità, mezzo biglietto per i fanciulli, ingresso gratuito agli artisti d’ogni nazionalità, ingresso gratuito i giorni festivi”.
Con questo provvedimento-tassa si sperava di rendere, amministrativamente ed economicamente, autonomi gli istituti museali. Nella realtà ciò non avvenne; anzi, la tassa contribuì ad allontanare il vasto pubblico dal museo, sino a far nascere quelle insofferenze futuriste verso una istituzione che, di fatto, rappresentava una classe borghese e individualista. Del resto, se così non fosse stato, non dovrebbero esserci i musei dell’arte futurista.
Assai diverso, oggi, è ciò che si profila per il territorio nazionale: un ticket d’ingresso nei principali contenitori religiosi (in Portogallo, p. e., c’era già nel 1991). Salvaguardare la memoria collettiva è un diritto/dovere e la memoria ha bisogno di manutenzione e di essere conservata per le generazioni future. Perciò, in questo caso si tratta soltanto di dare un contributo per garantire la conservazione di un patrimonio culturale a chi non c’è, ma che ci sarà. È, quindi, un impegno di civiltà per le generazioni future.
Se poi dobbiamo calarci nella realtà del capoluogo salentino, allora non possiamo non pensare alla riflessione di Michele Paone, fatta qualche tempo fa, quando si augurava che i salentini avessero per i loro beni culturali la stessa attenzione che dimostravano per la squadra di calcio.
Nella foto l’allarme lanciato dal Messaggero di venerdì scorso 31 gennaio.