La mafia non demorde e continua ad allungare le sue mani insanguinate sul Salento. L’ultima retata contro la Scu - che ha portato all’emissione di 72 provvedimenti di custodia cautelare - ha messo in luce uno scenario inquietante in una terra che, forse, avrebbe bisogno di interrogarsi e di ripensare se stessa.
Non può essere un caso se la criminalità organizzata riesce a rialzare la testa anche dopo aver subito colpi micidiali da parte della magistratura e delle forze dell’ordine. Non è un caso se riesce a riorganizzarsi, a trovare nuovi adepti, per poi ramificarsi nel tessuto sociale ed economico sino a condizionare, in molti casi, le scelte politiche e istituzionali. Tutto ciò può accadere e nei fatti accade solo se c’è connivenza, ignavia o paura nella società civile. Applaudire nel momento in cui lo Stato si fa vivo e subito dopo girarsi pilatescamente dall’altra parte, lasciando che la malapianta delle attività criminali sul territorio (droga, estorsioni, intimidazioni, delitti) cresca indisturbata, mentre ci sarebbe bisogno di una risposta forte e condivisa per spezzare un meccanismo perverso che impoverisce e umilia l’intero Salento.
Questa necessità inderogabile di rompere il silenzio è stata colta dall’arcivescovo Michele Seccia, che in un messaggio (LEGGI QUI) ha voluto lanciare un forte appello ai “fratelli e sorelle” che vivono nell’illegalità e seminano nella comunità violenza e paura. È un grido vigoroso, un’implorazione a cambiare vita rivolta a quanti seminano “la morte con la presunzione di riuscire ad ottenere profitto e potere con metodi e regole lontani da ogni norma”.
Le parole di mons. Seccia, riportano alla memoria la voce veemente di Papa Giovanni Paolo II che il 9 maggio 1993 dalla Valle dei Templi di Agrigento tuonava contro i mafiosi: “Convertitevi, una volta verrà il giudizio di Dio”.
L’appello alla conversione degli appartenenti alle cosche, ma anche il richiamo di mons. Seccia ad un impegno attivo della società civile per vigilare e contrastare la criminalità organizzata che “si è ormai introdotta in tutti i tessuti e, in un silenzio sommerso ma terribilmente assordante, muove i fili di molti settori della vita economica di questo territorio”.
A tutti i salentini, l’arcivescovo Seccia chiede “il coraggio di scegliere sempre la via del bene” e di ribellarsi all’arbitrio e alla violenza: se dovesse mai capitare “di essere a conoscenza di azioni criminose o di affari illeciti o, peggio ancora, qualcuno di voi ne fosse vittima, ricordate che l’agire omertoso è il migliore alleato della criminalità. Non abbiate invece paura di denunciare alle autorità competenti: avrete scelto con coraggio la via del bene. E del bene comune”.
C’era bisogno di parole chiare, c’era bisogno di scuotere coscienze un po’ assopite o distratte, c’era bisogno di indicare una strada nuova fatta di conversioni e di diffuse e confermate nel tempo assunzioni di responsabilità per evitare che la risposta emotiva di un giorno si trasformi nel sonno di una vita.
L’arcivescovo Seccia è sceso in campo per rompere il silenzio e indicare, ispirato dal ministero di Papa Francesco, un orizzonte carico di valori religiosi, morali e civili senza i quali sarebbe impossibile liberare una volta per tutte la terra del Salento da qualsiasi ipoteca del crimine e del malaffare. Per questo lo dobbiamo ringraziare, facendo nostre e rendendo vive le sue riflessioni.