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In questa condivisione fraterna desidero comunicare la mia esperienza di donna consacrata, francescana e Sorella povera di Santa Chiara, quindi in uno stato di consacrazione particolare quale è la vita contemplativa claustrale.

 

 

Quando mi sono accostata al mondo della vita consacrata contemplativa ero una ragazza con tanti di sogni di realizzazione personale, pienamente inserita nel tessuto familiare, sociale e ecclesiale, come animatrice in un oratorio salesiano, vivevo, insomma, una vita felice. È lì che mi ha raggiunta il Signore. Non capivo pienamente cosa significasse vita contemplativa, claustrale: ho letto molto sull’argomento, ho incontrato sorelle che mi facessero capire il senso più profondo di questa vita: insomma mi sono costruita un’idea più che altro concettuale di chi potesse essere una donna consacrata. Dopo un cammino di discernimento lungo sei anni, mi sono laureata in Scienze biologiche e sono entrata in monastero. L’unico modo per capire era fare esperienza! L’esperienza diretta in questa forma di vocazione, una volta entrata in monastero, ha col tempo demolito tanta parte di quel mondo di idee a favore di un incontro, di una relazione concreta che cambia la vita, quella con il Signore Gesù. Quella che prima era una voce che mi invitava è diventato un volto familiare da conoscere e amare.

Mi torna in mente una antifona: “il Signore le diede una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell’abito di lutto, canto di lode invece di un cuore mesto” (Ant. Al Benedictus della memoria del ritrovamento del corpo della Madre Santa Chiara). Dice in verità quanto il Signore opera e sfata un mondo di fantasia sulla vita claustrale alimentata da film e quant’altro si sia detto senza conoscere a fondo ila realtà. Dice che la sequela di Cristo, su cui si fonda la vita consacrata, è anzitutto risposta gioiosa e generosa ad una chiamata di fedeltà dell’uomo a Dio e viceversa, è letizia nella quotidianità e nella fraternità, è consapevolezza che lo sguardo misericordioso e benevolo di Dio ha reso sacra la mia vita e mi ha fatto una promessa di grazia eterna. È in sostanza vivere la vita piena del credente, profondamente radicati nel Vangelo e pronti a spendersi totalmente per il Regno di Dio che è già qui tra noi. È accogliere un Dio paziente e creativo che dà alla vita di ogni giorno un impulso nuovo e fa sperimentare l’amore gratuito che nulla chiede se non amore, che nella gioia mi fa sentire la responsabilità di un dono ricevuto e che ogni giorno viene restituito nella concretezza dei gesti e nella preghiera incessante.

Come donna consacrata sperimento il pieno significato dei voti dei consigli evangelici nella fraternità che mi è stata donata, accogliendo tutte le differenze che caratterizzano ciascuna sorella e facendone, anche con sacrificio, punti di forza per testimoniare il Vangelo. La fraternità così diventa luogo di confronto, e di incontro per crescere nella fede e nella donazione di sé. La mia consacrazione a Dio non è fine a se stessa, non può servire solo per la mia santificazione, non ha senso se non è inserita in una fraternità che fa parte di un tessuto ecclesiale più ampio, la vigna del Signore; ha valore se è un mattone per edificare e sostenere l’edificio della Chiesa a servizio dei popoli, senza autocelebrazioni ma nell’umiltà che il Signore Gesù stesso ci insegna nel Vangelo. Una sorella povera, ad esempio, non può essere povera in modo solo individuale, ma lo è in comunione e accanto ai poveri che incontra ogni giorno, condividendone il travaglio umano e spirituale.

Da questo punto di vista la vita consacrata in fraternità tipica del francescano è testimonianza forte contro l’individualismo e l’autoreferenzialità, mali che stanno minando le radici più profonde del vivere in società. Contro l’idea che l’uomo deve sopraffare l’uomo, l’idea del potere che si pone al di sopra di tutto e tutti quasi fosse Dio, una fraternità di sorelle povere offre la circolarità del servizio reciproco che, pur considerando l’autorità un elemento essenziale, non crea gerarchie e isolamenti, ma promuove la responsabilità e la crescita umana e spirituale. Ognuno di noi è responsabile della propria vocazione e dell’impegno che ci mette per maturarla. In questo senso è segno per chi si accosta ai nostri monasteri e in un certo modo spinta a rivalutare i propri atteggiamenti e comportamenti.

Un aspetto fondamentale della crescita spirituale per me come donna consacrata è la prospettiva della maternità spirituale che non è propria solo di chi esercita l’autorità, ma fa parte della maturazione nella fede e apre al dono di sé gratuito e totale. La castità per il Regno non è castrazione di affetti e desideri, ma fecondità, salto di qualità nell’amore come agape. Nessun dolore, nessuna gioia personale o altrui ci sono estranei, ma sono accolti, guardati e vissuti nella fede, restituiti nella preghiera. Questo è per me stupore continuo: sentirsi impotenti fisicamente davanti a tante situazioni e comunque raggiungerle e esserci con il cuore e l’anima. È l’esperienza dell’abbandono nella fede che a volte è dolorosa, ma col tempo dà frutti insperati di gioia.

Ogni giorno la Madre Santa Chiara ci invita a specchiarci in Gesù Cristo, ad avere i suoi stessi sentimenti, ad essere specchio l’una per le altre e per gli altri, specchi che riconducono allo Specchio che è il Crocifisso povero. Essere donna consacrata è oggi per me essere semplicemente una credente che è chiamata a rinnovare il suo “Sì”, nella restituzione totale di un amore che mi ha voluta sin dall’eternità. In tutto questo c’è ben poco sentimento, c’è invece tanto cammino, tante cadute e riprese, ascolto della Parola, tanta fatica nel formarsi nella sequela di Cristo, tanta gratitudine per sentirsi amata così come si è.

C’è gioia e letizia nel sapere che comunque Dio ha preparato per me “una corona invece di cenere, olio di letizia invece che abito di lutto, canto di lode invece che un cuore mesto”.

                                                                                                                                                                                                                         *Monastero Cuore trafitto di Gesù, Manduria 

 

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