Dopo tre mesi di “convivenza” con il Covid-19, mentre [non] ci prepariamo a giornate sicuramente cariche di sofferenza e di tristezza.
Abbiamo l’obbligo di guardare a quanto è accaduto, per cercare almeno di capire il senso di certi nostri comportamenti e il significato di certe nostre scelte di vita.
C’è un dato al quale non si presta attenzione ed è la sconcertante assenza di solidarietà, di empatia, di compassione per il popolo cinese, in particolare per i cittadini di Wuhan, che hanno sopportato stoicamente, quello che Kevin Rudd (ex primo ministro dell'Australia) ha definito come un inferno vivente.
Il Papa aveva avvertito la gravità della situazione e l’enorme sofferenza di quella intera regione. Più volte era poi tornato ad invocare la preghiera di tutti, come all’Angelus del 26 gennaio che aveva suscitato un’ampia sensibilizzazione dei cattolici cinesi, come testimonia un parroco che scrive “è impossibile raccontare in modo capillare l’immensa mobilitazione, perché ormai è un’azione che tocca tutte le comunità cattoliche nella Cina continentale, che stanno facendo la loro parte, sia con preghiere, novene, rosari, sia con impegni concreti”. Fuori della Cina, però, l’attenzione è stata sicuramente meno evidente, smorzata da un diffuso alone di indifferenza e in qualche caso persino di fastidio.
Ed è proprio questa indifferenza che ci rende oggi incapaci di mettere in piedi un progetto di grandi dimensioni come sarebbe necessario per reagire in maniera efficace a quella che ormai viene da tutti considerata una grande epidemia se non proprio una pandemia.
Ad una criticità globale non si può che reagire con una risposta altrettanto globale, coesa, coerente, tenace, pertinente.
Non ci si salva rifugiandosi nel proprio orticello, occorre lavorare intensamente, mettendo insieme le risorse di ciascuno.
C’è allora un secondo aspetto, pure questo inquietante: la presunzione dei furbetti, l’idea che sottraendosi alle regole, si possa riuscire là dove le autorità non ce la fanno. Le cronache ci narrano decine di episodi di questo genere, tutti conclusi con costi altissimi per la sanità pubblica e con danni evidenti per la salute, dei cittadini e dei furbetti. Possiamo dire che il convincimento che se sei furbo, la fai franca, è ciò che ha determinato, in Italia, le più gravi crepe nei piani di contenimento dell’epidemia, e ci sorprende il silenzio e la mancanza di iniziativa delle autorità a questo riguardo.
Ci saranno anche stati momenti di incertezza ed episodi di disorganizzazione, ma gli effetti della cosiddetta furbizia hanno nuociuto tantissimo ed ha nuociuto anche - va detto con chiarezza e senza giri di parole - l’inerzia delle autorità dinanzi ad alcune gravi incongruenze comportamentali di molti. Possibile che nessuna autorità di governo, dai ministeri ai prefetti, abbia ritrovato fra le proprie competenze giuridiche la responsabilità di fermare e sanzionare, ad esempio, le fughe disordinate da Milano o da Torino, filmate nella notte fra sabato e domenica, dalla tv di Stato? Non erano anche quelle delle palesi violazioni a quanto disposto da decreti formali del governo?
Se ci viene detto che, dal punto di vista dell’igiene e della prevenzione del contagio, è bene mantenere una certa distanza fra le persone, nessuno può sottrarsi alla prescrizione e tutti debbono sentirsi coinvolti e partecipi. E questo deve poter valere per tutti e in ogni contesto.
Ciò non può voler dire, tuttavia, che si possono voltare le spalle a chi vive nella sofferenza e ci chiede un aiuto ed un supporto essenziale.
La lealtà verso lo stato e la carità verso i bisognosi non vanno mai in quarantena, così come la pietas che consolida la nostra comune appartenenza. Nella preghiera dettata da mons. Seccia, recitiamo, tra l’altro: ... Gesù Crocefisso, rivelaci quell’amore che si china sulle ferite del Tuo popolo…
Ecco: abbiamo proprio bisogno di imparare a chinarci sulle ferite del nostro prossimo, trovando e inventando ogni possibile forma di solidarietà, senza della quale sarà difficile vincere il disastro incombente.
Se è vero che dobbiamo evitare ogni affollamento, se è vero che dobbiamo rispettare una lunga serie di norme di prevenzione, è anche possibile escogitare nuove forme di espressione di una attenzione e di una premura che non possiamo far tacere.
Nel Veneto abbiamo visto persone che lasciavano, sui margini della cosiddetta zona rossa, fagotti di viveri che venivano poi raccolti da coloro che non potevano allontanarsi dal paese; ecco: venivano osservate le prescrizioni, con lealtà e puntualità, senza smettere di dare ascolto al senso di fratellanza umana. E il Presidente Sergio Mattarella quando ha conferito una importante onorificenza a Gennaro Arma, il capitano italiano della Diamond Princess, ha voluto premiare tanto colui che per ultimo ha abbandonato la nave, quanto il capitano che si preso cura delle persone a lui affidate, con sacrificio intelligente e premuroso e con uno stile di generosa e attenta partecipazione.
Se non recuperiamo questi sentimenti e questi valori, non riusciremo ad affrontare le prossime difficili giornate. Avremo bisogno di abbondanti risorse e ci accorgeremo che le risorse, invece, scarseggiano; dovremo affrontare problemi severi e del tutto sconosciuti, e ci sentiremo impreparati, ci sembrerà di non farcela, proprio quando ci verrà chiesto uno sforzo maggiore…
Se da subito non ci abituiamo ad essere leali e partecipi, rispettosi delle regole e disponibili verso chi ci chiede un aiuto, sarà difficile sconfiggere il disagio. Senza furbizie e senza egoismi, con piena condivisione e grande senso della comunità.
Soltanto a queste condizioni possiamo anche noi ripetere: “insieme ce la faremo”.