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Se n’è andato in punta di piedi. Magari con la corona in mano: l’unica compagnia dei suoi ultimi anni di clausura orante. Diventata ancor più acuta per colpa della pandemia.

 

 

Il telefono era l’unica porta rimasta “scarassata” - avrebbe sospirato lui - per continuare a sentirsi prete di questa Chiesa che lo ha generato alla fede e al sacerdozio e che egli, con la preghiera quotidiana, ha servito fino all’ultimo respiro di questa mattina all’alba.

Erano dieci anni almeno che l’appuntamento fisso delle 3 del pomeriggio era per me il tempo del ristoro giornaliero. Fino a sabato scorso. Poi il silenzio. Anzi, no: l’ultimo saluto ieri, su Whatsapp. Don Gianni Mattia mi comunicava che in ospedale dava piccoli segni di ripresa e che mi mandava i saluti.

Ogni santo giorno, pochi minuti per dirsi che un altro giorno stava passando ma soprattutto per restare connesso con la sua Chiesa: “Dimmi qualcosa del vescovo, della diocesi”. Domanda fissa.

Poi dall’inizio della pandemia, l’amore esploso per Portalecce. Un fan sfegatato, tanto da esserne divenuto prezioso collaboratore in tutte le feste comandate quando mai si faceva pregare per inviare un saluto, un messaggio, qualche verso augurale, uno di quelli suoi, in “leccese” doc (CLICCA QUI ).

“Il Signore voleva questo da te - mi ripeteva all’infinito -. La tua è una vocazione paolina, Ruppi aveva visto bene anche se ti avrebbe voluto prete. Ma poi ha compreso e ti ha amato come se lo fossi diventato”. E poi la chiosa perenne: “stasera ore 18, numero 12”, per indicare l’orario della messa quotidiana in tv prodotta da Portalecce durante il lungo lockdown e trasmessa dal canale di Telerama.

Era diventato questo il suo modo per restare dentro la sua Chiesa - oltre alla visita del martedì di don Giancarlo “cullu Gginu”, alle telefonate di don Nicola, ai passaggi di don Attilio per la comunione, agli incontri fugaci con don Mauro, al pensiero fisso per il 'suo' don Cesare e alle visite sempre gioiose di mons. Seccia. Ma Portalecce gli piaceva perché in tv poteva vederlo e ascoltarlo ogni domenica e seguire di martedì la sua Lectio divina durante i tempi forti, per ricordare i suoi confratelli che si alternano ogni giorno sulla santa mensa per rendere grazie nell’eucarestia. E per “concelebrare” con loro.

“Concelebrava” così, ormai, don Franco rimasto orfano da troppo tempo del sacrificio eucaristico sull’altare. Ma vissuto sulla mensa della croce che aveva abbracciato con lo spirito di un sacerdote zelante e amante della comunione.

Mi fermo qui. Altri, racconteranno di lui. Rimangono la nostalgia e le “cose de Ddiu” che ha insegnato con la semplicità di un prete di strada e la sapienza del teologo predicatore.

Da oggi in avanti l’appuntamento delle tre non sarà cancellato: almeno un requiem è assicurato. Anche se l’ora del Golgota per te è finita stamattina all’alba, alla stessa ora del Risorto, con la corona in mano.

Ciao, don Franco. E ogni tanto dimmelo anche da lassù: “Dio ti benedica, Vincenzo mio caro”.

Foto di Arturo Caprioli

Video di Riccardo Calabrese

 

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