Nella ridda del dibattito e delle prese di posizione sul ddl Zan, che il Senato sarà chiamato a discutere, un punto sta affiorando con evidenza innegabile: l’oggetto del contendere non è solo né tanto ciò che nel testo è scritto e prescritto, ma anzitutto quello su cui esso tace.
E la consolidata prassi giuridica in tutti i Paesi a regime democratico prevede che ciò che non è espressamente proibito o consentito dalle leggi è lasciato alla esegesi ed applicazione di chi ha ruoli esecutivi, amministrativi e giudiziali. Non che il cittadino o i suoi rappresentanti legali non abbiano anch’essi libertà di interpretazione ed azione laddove il legislatore ha taciuto, ma la loro iniziativa li espone al rischio serio di venire repressi o sanzionati dalle autorità preposte, oppure contraddetti in giudizio civile o penale ed eventualmente condannati.
Nel caso delle leggi, vale solo astrattamente l’aforisma “chi tace acconsente”: laddove le norme sono lacunose e l’articolato elusivo o plurivoco in alcuni aspetti rilevanti per la loro applicazione, questo non garantisce sempre e di fatto (e non solo di principio) che un cittadino o una organizzazione legalmente riconosciuta possa dire pubblicamente, insegnare, educare od agire liberamente negli spazi giuridici della materia normata in cui il legislatore non si è palesemente espresso. Con buona pace di chi si ostina a dire che “non è intenzione dei proponenti della legge proibire o censurare” questo e quello, e che “non verrà limitata la libertà di pensiero e di azione” a coloro che non condividono i presupposti antropologici, etici e pedagogici che stanno dietro e dentro al testo, non sussistono evidenze e garanzie che il ddl Zan costituirà una eccezione rispetto a quanto sta accadendo - in fase esecutiva e giudiziaria - a leggi simili approvate in altri Paesi e ad altre norme su materie differenti già in vigore in Italia.
Per questa ragione il presidente della Cei, card. Gualtiero Bassetti, ha chiesto “chiarezza”, come qualunque cittadino domanda ad una legge: “Il testo dev’essere scritto in modo semplice e chiaro. Così com’è ora, è un testo che si presta ad essere interpretato in varie maniere e può sfociare in altre tematiche che nulla hanno a che vedere con l’omofobia, gli insulti o le violenze”.
Il riferimento è alla libertà di educazione alla sessualità e all’affettività da parte dei genitori e di altri soggetti che collaborano con essi, e a quella di insegnamento da parte delle istituzioni scolastiche, delle università e della Chiesa in materia di antropologia, morale e sociologia della famiglia, della filiazione e della educazione della prole.
“Come cittadino - ribadisce il card. Bassetti - ho diritto di chiedere che scrivano una legge chiara, in modo che non abbia infiniti sensi e interpretazioni”.
Il conflitto delle interpretazioni ed applicazioni è il caso grave che si prospetta all’indomani della eventuale approvazione di questa legge così come è giunta nell’aula di Palazzo Madama. E di tutto il nostro Paese ha bisogno - in particolar modo nella faticosa ripresa culturale, economica e politica che lo attende dopo la pandemia - fuorché di ulteriori conflitti sociali e tensioni tra i cittadini, le famiglie, i soggetti educativi e le istituzioni civili, culturali e religiose.
In particolare, dinnanzi al ddl Zan un punto resta fermo non solo per i credenti, ma anche per altre persone ed associazioni di diverso pensiero: che “non si sconfini in altri campi, in terreni pericolosi come la cosiddetta ‘identità di genere’. Una simile confusione antropologica mette in discussione la differenza uomo-donna e per noi è inaccettabile. […] La distinzione fra uomo e donna esiste. Per chi è credente viene da Dio, chi non crede dice invece dalla natura, ma esiste”.
L’affermazione della identità e differenza tra uomo e donna e della vocazione genuina, originale alla loro relazione affettiva e generativa non può essere censurata o denunciata al pari di una “violenza” contro le persone di diverso orientamento che lo manifestano pubblicamente. L’educazione a questa identità-differenza è irrinunciabile per tanti cittadini italiani, le loro aggregazioni di famiglie e culturali, e per la Chiesa, fedele alla Parola di Dio.
“È chiaro che noi continueremo a citare la Bibbia, questo non ce lo può impedire nessuno”, ha ribadito il card. Bassetti.
La Chiesa, oggi come sempre, difendendo la propria libertà difende quella di ognuno, credente e non credente. Ubi fides ibi libertas: dove c’è la fede, lì c’è la libertà, scriveva Sant’Ambrogio (Lettere, 75, 5). La libertà di tutti e per tutti.