Se entro tre mesi non sarà chiesto un referendum di conferma, la riforma costituzionale che introduce il voto dei diciottenni anche per il Senato sarà parte integrante del nostro ordinamento.
E dalle prossime elezioni politiche tutti i cittadini maggiorenni potranno votare per entrambi i rami del Parlamento. Il Senato, infatti, con 178 voti favorevoli, 15 contrari e 30 astensioni, ha completato l’iter “rafforzato” che per le modifiche alla Costituzione prevede la maggioranza assoluta e quattro delibere a distanza di tre mesi. La prima approvazione, alla Camera, è avvenuta il 31 luglio 2019. Poi è stata la volta del Senato, il 9 settembre 2020. A Montecitorio il secondo passaggio porta la data del 9 giugno 2021, un mese dopo è arrivato il sì definitivo del Senato. Definitivo a livello parlamentare, ma la legge non sarà ancora pubblicata perché non avendo ottenuto i due terzi dei consensi resta la possibilità che venga attivata una consultazione popolare: possono farlo uno quinto dei membri di una delle Camere ovvero cinque consigli regionali oppure ancora cinquecentomila elettori.
Anche se il quorum dei due terzi non è stato raggiunto, comunque, i numeri delle votazioni indicano un sostegno molto ampio e trasversale.
D’altronde il testo del provvedimento nasce dalla confluenza delle proposte presentate da varie forze politiche (due del Pd, una del M5S e una di FdI). In concreto, la riforma interviene sull’articolo 58 della Costituzione sopprimendo dal primo comma le parole “dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età”. Questo il testo residuo: “I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto”. Una formula analoga a quella prevista dall’art. 56 per l’altro ramo del Parlamento, vale a dire: “La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto”.
Dal mondo della politica arriva quindi un segnale positivo per i giovani. La riforma rappresenta un riconoscimento del loro ruolo e del loro diritto a una partecipazione più attiva e consapevole. Ma essa è anche importante sotto il profilo strettamente istituzionale. In attesa di porre mano al problema del cosiddetto bicameralismo perfetto - due Camere con le stesse, identiche funzioni costituiscono un “caso” a livello mondiale - si cerca almeno di ridurre la possibilità che a Montecitorio e a Palazzo Madama si creino maggioranze di governo eterogenee.
D’altronde non è solo possibile, ma anche probabile che ciò avvenga - con tutte le conseguenze di instabilità che ben conosciamo - se il corpo elettorale presenta in radice differenze numeriche tutt’altro che marginali. Nelle ultime politiche lo scarto provocato dal requisito dei venticinque anni per il Senato è stato pari a quasi quattro milioni di cittadini. Sette classi di età sono state tagliate fuori dall’elezione di metà del Parlamento.
La riforma appena approvata, peraltro, è l’unica arrivata al traguardo tra quelle che avrebbero dovuto accompagnare e integrare la riduzione del numero dei parlamentari e allo stato appare improbabile che si riesca a ottenere qualche altro risultato. La stessa riforma elettorale, che pure non richiede il complesso percorso della revisione costituzionale e si può attuare con legge ordinaria, ogni tanto si riaffaccia nel dibattito pubblico ma poi scompare rapidamente dai radar.