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La scuola e l’università italiane hanno sempre avuto problemi notevoli. La pandemia ha colpito la loro situazione in maniera forte, non molto diversa da come ha colpito il sistema economico-produttivo.

 

 

 

In questo quadro è arrivata la dad, la “didattica a distanza”. Siccome lo sport nazionale è diffondere cretinate atteggiandosi ad esperti, la dad (con il suo coniugato di “didattica in presenza”) è uno dei temi caldi - insieme a validità, vaccini, piani sanitari per il futuro, previsioni economiche - su cui si dice di tutto e di più. Per sciocchezze in materia si distinguono alcuni presidenti di regione, parlamentari, cittadini comuni.

Se si avesse l’umiltà - ma questa non è una virtù politica “riconosciuta” - di ascoltare studenti, docenti, genitori, nonni e babysitter, dirigenti scolastici ed universitari capiremmo come la dad è uno dei più terribili sacrifici che il mondo della cultura abbia mai subito. Tutt’altro che il futuro della scuola e dell’università! L’insegnamento, la trasmissione del sapere è sempre un fatto relazionale, che coinvolge docente e discente nelle loro dimensioni fisiche, emotive e intellettuali. Se questa piena relazionalità viene a mancare la trasmissione del sapere è monca, deficitaria. La pandemia e la dad hanno fatto danni enormi sull’apprendimento dei ragazzi, soprattutto alle superiori, come emerge dal Rapporto Invalsi. Il calo è generalizzato in tutto il Paese (ad eccezione della Provincia autonoma di Trento). La quota di studenti sotto il livello minimo cresce di più tra gli studenti socialmente svantaggiati e presumibilmente anche tra quelli immigrati (Ansa). Ci mancano dati sull’università, ma non penso che il quadro sia molto diverso.

La dad è limitante soprattutto perché la trasmissione del sapere è sempre un fatto collettivo. Anche quando apprendo, da solo, con un libro tra le mani, i suoi contenuti sono sempre frutto di relazioni, storie, culture, vita di popoli. Non possiamo negare che l’utilizzo eccessivo di dati provenienti dal web fomenta una mentalità per cui l’era dell’accesso (J. Rifkin) sia quello della creazione individuale, che evita relazioni e confronti. Del resto, la deriva dei social dove una persona qualsiasi sente di pontificare su tutto, senza studio, riscontri e dialogo, è anche frutto di uno pseudo apprendimento isolato dal mondo.

La scuola, l’università si fanno sui banchi non su un video (che resta la ratio estrema per situazioni di emergenza). Il sapere cresce solo e se esiste incontro pieno - quello virtuale non lo è - tra docenti e discenti. La “parola” del nostro sapere, cioè il contenuto mentale, raggiunge la sua pienezza non quando è scritta o comunicata in dad, ma quando docente e discente si incontrano di persona e di quella “parola” si coglie ogni dimensione: suoni, emozioni, cognizioni, relazioni. Tralasciando i tanti ed innegabili problemi pedagogici, strutturali e burocratici dell’educazione e formazione in Italia, spetta a noi docenti, come ricordava Lorenzo Milani, il ribadire lo stretto rapporto tra “parola” e incontro in presenza. Don Milani scrive: “non chiedetemi la tecnica, ma piuttosto come si deve essere per fare scuola”. Sull’essere del docente non ho dubbi che esso si forma con tre mezzi: la docenza frontale, il dialogo personale con gli studenti e la ricerca scientifica. Ovvero insegnare, incontrare e studiare. È certo che la dad abbia impoverito di molto i primi due elementi. Le parole si trasmettono e si forgiano in cattedra, sui libri e nei volti degli studenti con cui dialoghiamo.

Sono tra quelli che si augurano l’obbligo della vaccinazione almeno per coloro che lavorano a stretto contatto con altri, in primis operatori sanitari e docenti e personale scolastico. Dal punto di vista etico, e suppongo anche costituzionale, se la campagna di sensibilizzazione non ottiene i suoi effetti, parlamento e governo dovrebbero pensare a forme di obbligo di vaccinazione, visto che è in gioco il bene della collettività tutta, per cui non ci sono ragioni No Vax che tengano.

Quello di una scuola e università in presenza non può, quindi, essere un solo augurio. Il sapere e la sua trasmissione, al pari della salute e di tutti i beni fondamentali delle persone, sono frutto sempre di responsabilità verso se stessi, gli altri, Dio per chi crede e la natura. In un’intervista del 1999, Luis Sepulveda ha detto: “Scrivo, e dietro il mio narrare ci metto le idee, le inquietudini, le tensioni sociali. E scrivendo scopro che le mie idee sono condivise dalla stragrande maggioranza dei lettori che oltre alla fiction vuole riconoscersi in una forma di impegno, di militanza e di percezione della realtà lontana dalla mistificazione. È il sentire comune della letteratura, una cosa meravigliosa, capace di unire destini diversi in tutto il mondo”.

 

Forum Famiglie Puglia