C’è una frase pronunciata dalla scrittrice statunitense Susan Sontag che mi ha sempre fatto molto riflettere: “Wssere seri - sosteneva Sontag - significa esserci, sentire il peso delle cose”.
E meditando sulla vita di Pier Giorgio Frassati (1901-1925) una delle figure più luminose della santità giovanile del XX secolo, possiamo riconoscere la veridicità delle parole della Sontag: la santità è effettivamente una questione di serietà. C’è una gran differenza, tuttavia, tra serietà e seriosità. È la vita di Pier Giorgio, lui che per tutta la vita è stato un serio ragazzo sorridente, a darcene la prova evidente perché continua universalmente a essere un esempio straordinario di come la fede debba essere vissuta: con passione, gioia e impegno sociale. La canonizzazione, prevista per il 3 agosto 2025 al termine del Giubileo dei Giovani, offre l’occasione per riflettere sulla sua vita e sulla santità come ideale accessibile a tutti. La santità di Pier Giorgio, infatti, non si manifestò attraverso gesti straordinari o fenomeni mistici, ma nella semplicità della vita quotidiana: trovando Dio nel volto dei fratelli e delle sorelle si faceva, a sua volta, occasione di incontro con il Signore, provando a servire con la Parola nel cuore e il sorriso sulle labbra. Figlio di una famiglia agiata di Torino, egli scelse di vivere la sua fede in modo radicale, dedicandosi agli studi in ingegneria mineraria, partecipando alla vita politica e culturale, e soprattutto mettendo in pratica la carità cristiana.
Frassati è stato innanzitutto un giovane che ha amato potersi regalare quotidianamente, attraverso la preghiera e l’adorazione eucaristica, un rapporto intimo e personale con il Signore che, lungi dall’essere un rifugio dal mondo, lo ha aiutato a comprendere il senso pieno del racconto evangelico della moltiplicazione dei pani (Cfr Mt 14, 13-21). Perché ciò che Pier Giorgio ha fatto nella sua vita è stato primariamente condividere la sua fame e sete di Dio che aveva, comprendendo pienamente l’invito di Gesù ai discepoli, “Voi stessi date loro da mangiare” (Mt 14,16). La santità, infatti, lungi dall’essere una serie di cose da fare, è un invito a riconoscere che abbiamo bisogno di un’intimità con Dio e di condividere con gli altri la fame e la sete d’Amore che alberga nei vostri cuori. Condividere il bisogno di Dio aiuta a cogliere l’Amore di Dio già in azione nella storia come nella nostra storia: rimanere attaccati alla Speranza libera l’Amore perché fa scoprire la serietà ha a che fare con il maturare la consapevolezza che l’azione creativa è nelle mani di Dio. È l’intimità con l’amore di Dio che ha sempre spinto Pier Giorgio a impegnarsi per diventare collaboratore docile della Sua volontà, cassa di risonanza del Suo Amore.
Nella sua giovane vita Pier Giorgio ha vissuto una preghiera che si è fatta impegno, perché ha compreso che la cifra dell’amore è sapersi fare carico. Ecco allora che Pier Giorgio ci mostra la possibilità di una mistica dell’azione ricordandoci come la nostra vita da credenti non possa non tenere insieme eucaristia e carità: amare è un atto eroico che ha bisogno di una forza che viene dall’Alto per respingere la tentazione di vivere una fede disincarnata e isolata (Cfr C. Carretto, “Il Dio che viene”, Città Nuova, Roma 1974, pp.13-15). La sua fede profonda e concreta - che lo ha spinto a essere membro attivo di diverse organizzazioni cattoliche, tra cui l’Azione cattolica, la Fuci e la Società di San Vincenzo de’ Paoli, attraverso cui svolgeva un’intensa attività di assistenza ai poveri e ai malati - lo rende un modello attuale per noi giovani, spesso alla ricerca di un senso più profondo nella vita.
Uno degli aspetti più affascinanti della santità di Pier Giorgio è la gioia che lo caratterizzava. Nonostante le difficoltà personali e familiari, egli affrontava la vita con un entusiasmo contagioso. Amava lo sport, in particolare l’alpinismo, che considerava un’esperienza spirituale: le montagne erano per lui un luogo di incontro con Dio. La sua gioia non era superficiale, ma radicata nella fede, e rappresenta un antidoto alla cultura del nichilismo e della disperazione che spesso caratterizza il mondo contemporaneo.
Papa Giovanni Paolo II, che lo beatificò nel 1990, lo definì “l’uomo delle otto beatitudini”, sottolineando come la sua vita fosse una testimonianza vivente del messaggio evangelico perché incarnava la beatitudine della povertà di spirito, della misericordia e della purezza di cuore, dimostrando che la vera felicità si trova nel dono di sé agli altri.
All’apertura di un Giubileo ordinario in cui siamo invitati a riscoprirci “pellegrini di speranza”, allora, sarà profetico poterci affidare a un giovane che ha vissuto il suo pellegrinaggio nella vita quotidianità con lo sguardo rivolto all’eternità e le mani impastate nel servizio. Perché Pier Giorgio è stato, in tutta la sua vita, un giovane normale che ha saputo mostrare come la santità sia accessibile a chiunque scelga di lasciarsi illuminare dalla Parola di Dio.
In un mondo segnato da crisi e incertezze, la breve ma intensa vita di Pier Giorgio Frassati ci aiuta a ricordare che la santità è un cammino che si percorre giorno per giorno e che i suoi frutti, seminati con seria abnegazione, dimostrano che i sorrisi illuminati dalla speranza fanno più rumore delle bombe perché i suoi echi sono per l’eternità.
*Vicepresidente nazionale dell’Azione cattolica italiana per il settore giovani