Martedì sera, 4 gennaio, presso la basilica del Rosario in Lecce, la santa messa presieduta dal vescovo di Nardò-Gallipoli, Fernando Filograna alla presenza dell’arcivescovo Michele Seccia che ha concelebrato con lui insieme a mons. Mauro Carlino, rettore della basilica e a mons. Oronzo De Simone.
La celebrazione eucaristica, la quale da tempo è divenuta “tradizione” della famiglia di ForLife onlus - nel senso di tradere, ossia di portare verso il Signore, quindi, di offrirgli l’operato compiuto nel corso dell’anno concluso - è, come ha affermato mons. Filograna, una bellissima occasione per rendere grazie intorno all’altare per le iniziative di volontariato che il Signore ha voluto che fossero portate avanti dalla stessa associazione.
La celebrazione eucaristica è stata dunque foriera di due significati che si giustappongono l’uno all’altro in quanto conducono il singolo sia a perseverare nell’operato di volontariato sia a non far cadere tale atto nella vacuità ‘dell’orizzontalismo’. Come ha spesso affermato il vescovo Filograna nel corso dell’omelia, è indispensabile il volersi bene tuttavia se questo volere, benché positivo, non si abbandona nel fiat, quindi nell’assoluta trascendenza, ossia nell’amore sciolto da ogni vincolo tipico del mondo corruttibile, non è un volere bene all’alterità in toto, quindi un voler bene virtuoso, ma un desideralo superficialmente.
Il “ruolo” svolto dalla celebrazione, a quanto espresso nell’omelia del celebrante, è quindi sia quello di rendere lode a Dio, sia quello di riscaldare le anime affinché il calore della fede si diffonda, proprio come un virus, in ognuno di noi. La fede è l’unico vaccino contro la tiepidezza.
A causa dell’avvento del post-modernismo l’essere umano ha difatti dimenticato l’elemento metafisico che costituisce la sua base ontologica e ha focalizzato la sua attenzione solamente nel microcosmo dell’empirico, dimenticandosi dunque dell’Empireo; l’uomo ha costituito la cosiddetta società dell’egoismo divenendo monade tra monadi scordandosi che la sua natura è quella di creatura, essenza che si può raggiungere appieno solo in un futuro perpetuo ed eterno proprio perché il termine «creatura» indica quell’infinito futuro di essere figlio, dunque anche fratello.
I partecipanti sono dunque stati invitati a vivere pienamente ogni momento della loro quotidianità, a vivere l’adesso, non come lo intendeva il povero Orazio nel Carpe diem, bensì come un continuo ad-Ipsum, cioè come un verso-Quello (lett. ad-Esso), ossia verso quell’Essere che da senso alla nostra esistenza terrena.
Racconto per immagini di Arturo Caprioli.