Da eroi in tempo di pandemia a vittime di violenza oggi. Questo il triste bilancio che investe il personale sanitario italiano da nord a sud, balzando sempre più agli onori delle cronache.
Una serie di aggressioni e atti di violenza ingiustificati, l’ultimo a Bari solo pochi giorni fa, che esasperano il lavoro dei medici in servizio non solo negli ospedali, ma anche all’interno dei loro ambulatori.
“Una delle principali ragioni per cui mi sento di dire che ci sono più aggressioni è la paura. - commenta Patrizia Sturini, funzionaria Cgil Pavia comparto Sanità -. Soprattutto dopo la pandemia, molte persone si recano in pronto soccorso anche per sintomi banali, il che non fa che aggravare il lavoro all’interno dei Pronto Soccorso”. Accessi evitabili che, di conseguenza, allungano le tempistiche di attesa, esasperando la pazienza di alcuni soggetti, spesso sfociando nella peggiore delle ipotesi. “Tutti sono convinti che debbano essere visitati nel minor tempo possibile - continua Sturini - ma all’interno del pronto soccorso ci sono urgenze non differibili e diagnosi con priorità”.
Non solo accessi impropri, ma anche carenze di medici e personale sanitario che non riescono a soddisfare tutte le richieste. Il Sistema sanitario nazionale (Ssn) non a caso soffre di disorganizzazione, partendo non solo dai pochi fondi ad esso destinati, ma anche del poco personale assunto. A darne conferma, la stessa Corte dei Conti che, alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2024, ha dichiarato come “il Ssn non garantisca più alla popolazione un’effettiva equità di accesso alle prestazioni sanitarie”. In questo modo diventa sempre più ‘normale’ che vi siano “conseguenze sulla salute delle persone e pesante aumento della spesa privata”.
A livello locale la situazione non è diversa, anche per quanto riguarda i medici di medicina generale. “Un altro problema riguarda anche i medici di base - continua la funzionaria di Cgil Pavia - in alcuni comuni mancano queste figure, spingendo per forza di cose sempre più pazienti a rivolgersi direttamente negli enti di primo soccorso anche quando non necessario”. Ma chi ha un medico di famiglia, non sempre tende ad andarci, o meglio a convincersi del suo parere. “Proprio legato a questa paura post pandemia - spiega Sturini - anche chi inizialmente sente il parere del proprio medico, in un secondo tempo si reca in ospedale con la convinzione che può sottoporsi a esami più approfonditi, spesso non consigliati dal proprio medico”. Ma a giocare a sfavore del personale ospedaliero, anche i famigerati tempi di attesa. “Se ci si reca in pronto soccorso - racconta la sindacalista - esami che normalmente verrebbero eseguiti nel giro di un mese o due di attesa, all’interno dell’ospedale vengono fatti direttamente, come conseguente accertamento da pronto soccorso. Questa però è una cattiva abitudine, frutto di una mancata educazione sanitaria”.
Per questa ragione, è necessario cambiare gestione e organizzazione all’interno dei nosocomi, partendo dai territori. “Per limitare le aggressioni al personale - continua la funzionaria di Cgil Pavia - è bene organizzare diversamente gli accessi nei pronto soccorso, limitando in prima battuta gli accessi impropri”. In questo giocano un ruolo fondamentale le Case della Salute, così come tutti gli ambulatori preposti di primo livello, dotati di ambulatori infermieristici che possono dare un primo consulto medico, prima di un eventuale accesso in ospedale. Ma qualora questo non bastasse, “sarebbe buona cosa organizzare al meglio gli accessi predisponendo delle linee dirette rivolte a parenti dei pazienti - dichiara Sturini - In questo modo sarebbe possibile tenere aggiornati i familiari in tempo reale sulle loro condizioni, senza tenerli in pronto soccorso ad aspettare”. Un’altra soluzione, che sta passando al vaglio delle regioni, è l’istituzione di ambulatori per i codici bianchi nei pressi dei Pronto Soccorso, ma “sebbene sia una buona idea, dubito che possa essere messa in atto se non vi sono ulteriori assunzioni”. Puntare quindi su educazione e promozione delle Case della Salute sembra essere un primo passo da intraprendere.
“Bisogna educare i cittadini a una maggiore educazione sanitaria - conclude la sindacalista - in questo modo si possono evitare migliaia di accessi non necessari e destinare il lavoro dei sanitari a emergenze con priorità massima e senza assistere ad ulteriori atti di violenza”.