L’occasione privilegiata del primo maggio ci spinge a fare qualche breve considerazione sul messaggio diffuso per l’occasione dai vescovi italiani “Il capitale umano al servizio del lavoro”.
È sempre necessario seminare fiducia e speranza circa un tema, come quello del lavoro, profondamente mutato in seguito alla globalizzazione e alla trasformazione industriale. Oggi, più di ieri, queste sfide vanno affrontate senza che a pagare siano il lavoro e la sua dignità, elemento essenziale per relazioni umane autentiche.
Certamente non è semplice attuare ciò che Papa Francesco auspica quando parla di lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, argomento affrontato da credenti e parti sociali, prima e dopo la preparazione delle Settimane Sociali, ridando vita al dibattito nel nostro paese.
La conquista maturata nel tempo, talvolta, si perde nelle tante delocalizzazioni delle imprese e nelle nuove modalità di lavoro, non sempre giustamente tutelate. Ne segue il rischio attuale che, categorie di giovani e meno giovani, siano esclusi dal ciclo produttivo di un lavoro in rapido cambiamento e sempre più specializzato. Queste categorie di fatto faticano a ritrovarsi. Inoltre, la rete e la nuova tecnologia applicata al lavoro modifica e cambia i profili lavorativi.
Accanto a questa problematica, ai vescovi sta a cuore, allo stesso modo, la vita di relazione e di prossimità non sempre libera e creativa, ma vincolata dai ritmi di produttività e dal tipo di orario di lavoro.
Occorre, allora, costruire insieme politiche che favoriscono la riqualificazione del lavoro e la sua umanità, fatta di fiducia reciproca tra imprenditori e lavoratori. Occorre un salto di qualità che permetta “di riscoprire – dicono i vescovi – come la collaborazione e il gioco di squadra con tutti, anche e soprattutto con i più marginalizzati, è dono e occasione di crescita della propria vita umana e spirituale”, oltre che opportunità di crescita economa e sociale.
L’inclusione degli scartati e dei più deboli non richiede un semplice investimento monetario, seppur lodevole. Le forme di intervento devono avere come stella polare un approccio generativo, che mira “ad offrire opportunità di inclusione e di partecipazione alla vita sociale e produttiva”. Soltanto questo tipo di approccio porta alla partecipazione sociale.
È una sfida per il nostro Paese, difficile ma affascinante, che “può essere vinta – precisano i vescovi – solo superando la carestia di speranza, puntando su fiducia, accoglienza e innovazione e non chiudendosi nella sterilità della paura e nel conflitto”.
La storia del progresso insegna che il benessere economico non è questione di spartizione, ma il vero tesoro di un paese è la sinergia di fatiche, competenze, impegno per contribuire al progresso civile di tutti e per tutti. Solo così la sfida della dignità del lavoro può essere vinta.