Il treno europeo non è deragliato, ma la locomotiva ansima e non ci sono motori di emergenza da aggiungere alla motrice.
Si allargherà per forza l’area della maggioranza parlamentare europea, ma il problema politico più importante non è coinvolgere anche i verdi o i liberali nell’alleanza popolari-socialisti, bensì quello di costruire all’interno delle grandi famiglie europee una linea politica chiara sulla riforma dell’Unione. In questa prospettiva il ruolo dei cattolici è tutto da ripensare perché non è più possibile che la sempre maggiore apertura della Chiesa verso le sfide di un umanesimo contemporaneo non sia valorizzata e resti prigioniera di cartelli elettorali che hanno fallito. I socialisti e le sinistre hanno creduto di poter vivere di rendita su politiche sconfessate ripetutamente dal voto popolare; l’agglomerato dei popolari è attraversato da contraddizioni ideologiche che hanno portato in molti casi al tradimento dei valori dei padri dell’Europa; la famiglia liberale non è più capace di difendere i principi del liberalismo democratico contro il liberismo economico. I verdi hanno avuto un grande successo in alcuni paesi ma la loro piattaforma politica non è chiara.
Nel vuoto della politica europea, mentre l’Unione fa fatica a reggere le sfide dell’integrazione, la Chiesa cattolica diventa uno dei pochi soggetti capaci di dire cose che vanno al di là degli egoismi privati e che sfidano la decadenza dello spirito comunitario europeo. Essa ha fatto scelte irreversibili nella direzione della pace, della libertà, della giustizia sociale, dello sviluppo sostenibile e si è definitivamente liberata dalla tentazione di mettere sotto tutela i cittadini nelle loro scelte politiche. Ma il paradosso è che, al contrario di quanto ci si aspetterebbe, essa si trova isolata e talvolta derisa proprio mentre tutte le forze politiche fanno a gara per conquistare il voto cattolico, il quale, per quanto ormai voto di minoranze, è decisivo.
Nei prossimi anni si porrà dunque il problema della ridefinizione dei rapporti tra la Chiesa e l’Unione europea, alla luce del fatto che i loro destini sono sempre stati intrecciati. La Chiesa cattolica è una istituzione universale e la Unione europea una istituzione “glocale”, ma ciò che conta è il rapporto profondo tra la funzione simbolica della prima e la forza culturale ed economica della seconda. Un’Europa senza anima religiosa non avrebbe più prestigio morale e una Chiesa senza il sostegno concreto di una democrazia sociale non potrebbe svolgere la propria funzione evangelizzatrice. Una Chiesa senza un ampio spazio democratico sarebbe oggi muta, una democrazia senza principi morali e regole stringenti sarebbe preda di istinti totalitari. Il confronto tra religione e politica è fondamentale per la costruzione di una cittadinanza europea non individualista e tecnocratica. La Chiesa e l’Unione devono concepirsi in modo nuovo per un mondo nuovo e devono ripensare l’umanesimo integrale che era alla base del progetto europeo. La Chiesa attraverso un confronto interno più sincero e una conversione evangelica più solida, la politica europea grazie alla ridefinizione delle tradizioni politiche del Novecento.
Nella più generale ridefinizione del contributo dei cattolici alla ricostruzione dell’Europa, l’Italia ha una grande responsabilità e un ruolo decisivo. Il modo in cui le forze politiche e in particolare la Lega affrontano la questione cattolica non è dunque secondario. L’Italia è ad un bivio, per la sua sopravvivenza economica e per la sua dignità come nazione. Il sovranismo della Lega dovrà finalmente rivelare il suo vero volto. Potrà moderarsi e guidare il paese verso una sicurezza sociale ed economica all’interno delle regole comunitarie o invece radicalizzarsi e dunque portare all’isolamento. Se da fattore di protesta e di rancore diventerà elemento riformatore e agirà per rendere meno “stupide” le regole finanziarie e di bilancio dell’Unione, c’è la possibilità che si raccordi con il sentimento profondo di un paese che punta alla semplificazione e all’ordine sociale. Se invece Salvini intendesse continuare ancora per qualche tempo la sua campagna elettorale «futurista» -sempre avanti, senza mai dare tregua, contro chiunque si metta di traverso- così da accumulare altri consensi elettorali una volta decidesse di rompere l’alleanza di governo e andare alle elezioni, allora il Paese rischia grosso.
Terze vie non ce ne sono, con buona pace dei 5Stelle che non hanno capito che la loro storia politica è ancora da scrivere e non può restare appesa a improvvisazioni effimere. Il Partito democratico oscilla tra lo scampato pericolo e l’ambizione di ritornare ad essere il collante di nuove coalizioni, ma in questo caso mostra ancora una volta di voler ripetere formule ormai superate. Né basta presentarsi come forza tranquilla in un’epoca in cui alle passioni razionali si sono sostituite pulsioni forti e sentimenti di rivolta. Il problema dei Democratici è quello di imparare ad essere autentici e popolari.
Le premesse per essere preoccupati come comunità di credenti ci sono tutte. Il rosario esibito di Salvini è l’emblema di una profonda scelta antireligiosa. Tutte le destre politiche hanno tra i loro simboli Dio e la patria, ma nessuno, tanto meno la Le Pen nella laicissima Francia, esibiscono il rosario. Anzi, è comune cultura europea non fare dei simboli religiosi un’ostentazione provocatoria. È evidente che la Lega vuole portare dentro la Chiesa una polemica per indebolirla o intimorirla. Si fa scudo del voto di tanti cattolici, uomini e donne che hanno paure come tutti. Anziché ricostruire il campo di una interlocuzione intelligente con il sentimento religioso, non necessariamente solo cattolico, del paese, la Lega ha preso di mira i media cattolici e la Chiesa cercando di trascinarla in una competizione di potere, sfidandola a scendere sul terreno di un cattolicesimo esibito. È una strategia tipicamente «pagana» che trasforma i simboli religiosi in un deposito di ombre a disposizione di tutti secondo le convenienze. Il tentativo più grossolano è quello di separare i cattolici italiani dal loro pastore d’eccezione che è Papa Bergoglio, cercando di sfruttare le resistenze di un certo mondo conservatore: è come se dicesse che sua Santità può fare quello che vuole, tanto poi ai suoi fedeli parla Salvini e se li prende con qualche slogan più efficace del Vangelo.
Insomma, la “questione cattolica” è una cosa seria e misura la capacità del nostro sistema politico di uscire dalla palude. Negli anni Sessanta e Settanta la questione fu agitata soprattutto dalle sinistre per liberare il voto dei credenti dall’obbligo di votare la Democrazia cristiana, ed è lo schema che oggi adotta la Lega. Ma la questione del rapporto tra politica e fede non è stata un’invenzione anticlericale, ma anzi una necessità posta prima di tutto dai cattolici democratici per liberare la fede dal clerico fascismo su cui si era adagiata la Chiesa e per recuperare su piani più nobili la sua unità spirituale. La costituzione repubblicana imponeva ai cattolici di diventare protagonisti in un modo nuovo, libero e pluralista. La questione cattolica divenne una questione di autonomia e di rispetto della coscienza democratica e della laicità costituzionale.
Anche la Chiesa ha le sue responsabilità: non è stata capace di educare i suoi fedeli a scegliere e forse non ha sostenuto abbastanza coloro che, malgrado tutto, si esponevano per il bene comune, lasciando troppo soli donne e uomini coraggiosi. Adesso ha di fronte una sfida neopagana che non ragiona più in termini teologici, ma post ideologici, come se la storia non contasse. Legge e ordine sono lo slogan perfetto per mettere a tacere ogni inquietudine e soprattutto per assolvere molti atei devoti. La comunità cristiana deve resistere alla spoliazione del patrimonio di umanità e di solidarietà della Chiesa, per restituire alla storia civile italiana quella matrice religiosa, non clericale, che è stata la radice anche di altre grandi culture politiche laiche. L’egemonia gramsciana, la religione della libertà di Croce o la difesa delle basi morali della democrazia di De Gasperi sono state espressioni di una comune dottrina politica dell’unità secondo valori, autenticamente comunitari. Cercare l’unità civile e politica dei cattolici, nella distinzione di ruoli tra il clero e i laici, significava per De Gasperi rispondere al bisogno di quell’unità che il nostro paese cercava da secoli e che la Costituzione repubblicana mostrava essere possibile in chiave pluralista e personalista.