La domanda che in un tempo di continue prove di forza, di ricorrenti torsioni costituzionali e del prevalere di una idea di comunità che rischia di concentrarsi solo sulla difesa della propria identità, ammesso che nell’età della globalizzazione si possa ancora parlare di identità a tutto tondo, definite una volta per tutte, ciascuno di noi dovrebbe porsi è la seguente: che fine ha fatto Politica con la P maiuscola?
La domanda che in un tempo di continue prove di forza, di ricorrenti torsioni costituzionali e del prevalere di una idea di comunità che rischia di concentrarsi solo sulla difesa della propria identità, ammesso che nell’età della globalizzazione si possa ancora parlare di identità a tutto tondo, definite una volta per tutte, ciascuno di noi dovrebbe porsi è la seguente: che fine ha fatto Politica con la P maiuscola?
Don Milani, profeticamente, pensava che risolvere da soli un problema comune è individualismo, sortirne insieme la soluzione è la Politica. La differenza tra le due opzioni sta in quell’insieme che rinvia ad un idea di politica che Giuseppe Lazzati avrebbe definito come scienza e arte della costruzione della città dell’uomo.
La Politica è innanzitutto scienza, cioè rispetto delle regole, non solo naturalmente di quelle definite in primo luogo dalla Legge fondamentale che è la nostra Costituzione, ma anche di regole non scritte e che tuttavia appartengono alla cultura di un popolo, fra queste quella della ricerca del bene comune, che non consiste nella semplice somma matematica degli interessi individuali, ma nel superamento di essi attraverso la costruzione di un interesse superiore a partire dal quale trovano riconoscimento gli interessi dei singoli. Un’altra regola non scritta, ma ugualmente di civiltà, è quella rappresentata da una parola oggi non più di moda, anzi dai più considerata nella sua valenza negativa di inciucio, di compromesso: questa parola è mediazione. In un sistema democratico si distingue la Politics, come insieme di valori e di principi, dalle policies, come soluzioni concrete a singoli problemi. Sull’insieme dei valori e dei principi non può non esserci massima condivisione. Sulle soluzioni ai singoli problemi è legittima la distinzione. La ricerca delle risposte più appropriate ed efficaci ai problemi di una comunità, tuttavia, non può prescindere dalla pratica, appunto, della mediazione, che altro non è se non la capacità di saper conciliare valori ugualmente importanti, come per esempio il valore della sicurezza dei cittadini e quelli del rispetto della dignità delle persone e della solidarietà. Nessuno di questi valori può essere difeso singolarmente senza assicurare una contemporanea tutela degli altri.
La Politica è, poi, anche arte. Questa caratteristica rinvia alle doti personali del singolo politico, cioè a quelli che don Giuseppe Dossetti chiamava gli abiti virtuosi del politico, specialmente del politico che si professa cristiano. Tra questi abiti virtuosi si rivela estremamente preziosa l’attitudine a considerare i problemi nella loro complessità, a scegliere il ragionamento fondato su dati oggettivi rispetto agli slogan frutto di una erronea percezione della realtà, a coltivare una idea mite della politica, fondata sulla consapevolezza che la terra promessa dell’Esodo non è il paradiso terrestre (i paradisi promessi sulla terra diventano inferni), la società perfetta, ma semplicemente una terra migliore dell’Egitto, in cui ci saranno ancora nuove contraddizioni, nuovi ostacoli e nuovi impegni da assumere. A questa idea di politica è del tutto estranea la cultura del nemico. Ad essa è invece coerente la cultura della responsabilità.
È su questa idea di politica mite e riformista che i cattolici per primi dovrebbero tornare a misurarsi se solo facessero tesoro della considerazione manzoniana, richiamata di recente dal Presidente Mattarella, che in alcuni momenti, come quello che stiamo vivendo, “il buon senso c’è, ma se ne sta nascosto per paura del senso comune”.