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Vent’anni, talentuoso, formazione in seminario da esterno, appassionato fin da bambino di musica rap, Francesco Pio, impegnato nella Comunità di Sant’Egidio, lo scorso anno, alla fine del percorso liceale, grazie all’esempio e all’incoraggiamento di un amico più grande, autore di testi rap, conosciuto a sant’Egidio, si è cimentato nella scrittura.

 

 

I profondi versi di (“CAINO O ABELE” ) la cui grafica è stata curata dalla giovanissima Federica Siculella, ne son un’ottima prova. “Devo migliorare” - commenta Francesco con umiltà.

Ritmo dolce ed incisivo, cadenzato nello stile rap, in armonia con le parole, in “Caino o Abele”, la disgiuntiva “o” del titolo è parte integrante del messaggio che mette di fronte ad una scelta: imitare “Caino pieno di rabbia ed invidioso” oppure “Abele giusto e talentuoso”.

Proprio questa disgiuntiva sottolinea la diversità di ispirazione tra la canzone di Francesco e il “Caino e Abele”, (1999), in dialetto lombardo, di Davide Van De Sfroos, nome d’arte di Davide Enrico Bernasconi., testo ironico e dissacrante che cambia il mito. Francesco, al contrario, ripropone il racconto della Genesi (4: 1-27) che, come afferma: “lo ha affascinato fin da piccolo”, facendone il tramite, “al di là di (..)credenze e convinzioni”, di un attualissimo messaggio di solidarietà.

“Credo molto nelle relazioni e nella loro autenticità; - aggiunge commentando il suo testo con puntualità ed entusiasmo - nel periodo che stiamo vivendo c’è bisogno di lanciare messaggi, dare scossoni, il rap del resto nasce come musica di protesta”.

Un testo che riflette su invidia, superbia e avarizia (“le tre faville che hanno i cuori accesi” di dantesca memoria n.d.r.) che minano i rapporti tra le persone e, nell’immediatezza del linguaggio giovanile, manda un messaggio di grande attualità. “Benché lo abbia scritto prima dell’uccisione di George Floyd, - precisa Francesco – in qualche modo è collegato”.

Il modello suggerito è quello di Seth, il terzo figlio di Adamo ed Eva, paragonato ad un “granello di senape, perché per essere grande e fare grandi cose non devi esaltarti (…), non essere invidioso, sii te stesso con il tuo valore, abbi il coraggio di usare il tuo buon cuore”.

Attento a non uccidere con le parole, lo stesso è un grande peccato” recitano ancora i versi -. “Quando si pensa al quinto comandamento - commenta Francesco - si pensa al coltello, all’arma da fuoco, all’uccisione fisica, eppure si può uccidere l’altro con le parole e non mi riferisco all’offesa, all’ingiuria, ma anche alla calunnia, a ciò che compromette la persona stessa”.

La fratellanza che racconta Francesco si basa sul riconoscimento del valore e dei talenti di ciascuno “Ciascuno -commenta con la saggezza di un’altra età - ha dignità e talenti che deve sviluppare. Per il cristiano c’è il valore aggiunto che ogni uomo ha la luce di Dio, in quanto creato a sua immagine e somiglianza (…). Ognuno deve essere il custode dell’altro, custodirsi reciprocamente, perché se io posso fare grandi cose per l’altro, anche l’altro può fare grandi cose per me”.

L’originalità del messaggio di Francesco sta proprio in questa affermazione di reciproca “custodia” nell’ascolto, nell’aiuto, nella valorizzazione. Non dunque su una generica bontà, ma sul riconoscimento del valore non solo dell’altro, ma di sé stessi. “Dobbiamo imparare a credere a noi stessi (…)  con tutte le nostre fragilità, mancanze e limiti (…), per fare del bene e amare per bene”. È un grosso peccato quello di dire “io non valgo niente”, come quello di sentirsi al di sopra di tutti”.

Per sperare in un mondo migliore “il cambiamento - conclude - deve partire da noi stessi con la consapevolezza che l’amore non è quello dei baci Perugina: l’agape cristiana è altra cosa: reciprocità, condivisione, scambio”.

 

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