I mezzi di comunicazione parlano e pagano. Ma solo questo può fare uno spettacolo “benevolente” cui i media somministrano quotidianamente attraverso quello del dolore?
Possiamo ancora fidarci delle denunce a mezzo stampa o attraverso la tv? Siamo davvero garantiti che il nostro impegno potrà concretarsi in azioni efficaci per chi soffre? E non è tutto questo un comodo alibi per sentirci “anime belle” di fronte a carestie, epidemie e massacri? E infine in questa info-pandemia cosa stiamo capendo?
Se la partecipazione è un modo per migliorare l’essere umano con lo spettacolo del dolore i media ci dicono che tra il rapporto dello spazio dell’osservazione e lo spazio dell’azione è scendere dal cavallo e vivere l’atteggiamento del samaritano. La violenza che è diventata toppo diffusa purtroppo ci spettacolarizza il tutto. Ci commuove fino alle viscere. Ma quanto diventa leggera o arriva ad atrofizzare l’agire con una partecipazione leggera con un click, un like o una donazione. Luc Bolthanski conduce il lettore attraverso le varie “topiche della sofferenza”, in una cavalcata nella cultura moderna che va da Adam Smith a Rousseau, da Sade a Baudelaire, da Sartre a Camus, fino a scoprire le ragioni di una “politica del presente” che si appassiona alle sorte delle vittime “qui e ora” nel mondo senza cercare pretestuose giustificazioni in ideologie del passato o in utopie del futuro.
Il conflitto di tante credenze e la perdita di riferimento di grandi ideali sta creando una piccola crisi della pietà, ma è interante come ci sia anche l’opacità del desiderio e la vanità delle intenzioni di agire. L’infelicità, tutta via, serve a qualcosa. Sta a noi riscoprire una società più umanitaria e se esiste una giustificazione dello spettatore della sofferenza a distanza non possiamo tendere ad una tendenza verso il consumo illecito di spettacoli strazianti, destinati come le rappresentazioni di fiction, a suscitare emozioni sconvolgenti e intime? Recuperare i diritti dell’uomo in una politica presente è la sfida che ormai abbiamo perché la politica è prima di tutto un’azione del popolo. Occuparsi del presente non è un affare di poco conto, e rispetto al futuro esso possiede un immenso vantaggio e cioè quello di essere reale.