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Oggi vivere non significa altro che produrre, ogni cosa si sposta dall’ambito del gioco a quello della produzione: siamo tutti operai, non giochiamo più.

 

 

 

L’odierna ossessione per un’autenticità fondata sul narcisismo dell’Io, la costante ricerca del nuovo e dell’inedito, la bulimia consumistica dell’usa e getta che pervade ogni ambito determinano, nei rapporti e nelle pratiche che caratterizzano la società contemporanea, una sempre più evidente e sintomatica scomparsa delle forme rituali. Oggi “ci produciamo” dappertutto e in modo compulsivo. I riti diversamente dalla comunicazione digitale contemporanea sono dei processi narrativi che non consentono l’accelerazione. Il silenzio nel rito non significa arresto della comunicazione ma capacità di ascolto, ricettività con un’attenzione profonda e contemplativa. Invece il racconto diversamente dal rito sono forme di chiusura in quanto hanno un inizio e una fine e sono contraddistinti da un ordine chiuso. Sappiamo che il sacro richiede silenzio: in una festa si ha anche bisogno del silenzio oltre ad una vita attiva. Oggi abbiamo del tutto smarrito il senso di esso in particolare del riposo festivo: la festa non è altro che una forma di gioco è un’autorappresentazione della vita.

Byung-Chul Han nel suo libro propone il recupero del simbolismo dei riti come pratica potenzialmente in grado di liberare la società dal suo narcisismo collettivo riaprendola al senso di una vera connessione con l’Altro. Siamo nel dataismo dove l’essere umano non è più soggetto della conoscenza sovrana, ora il sapere viene prodotto con le macchine ma questa coazione a produrre dell’uomo con le macchine non può distruggere lo spazio del gioco e della narrazione. Abbiamo perso il carattere ludico del pensiero: giocare è ben altra cosa rispetto all’appagamento del piacere. Perdere la capacità di parlare di sessualità come servizio e dono reciproco scandito anch’esso da un rituale significa ridurre la comunicazione ad un processo pornografico: appiattito e privo di qualsiasi simbolo. Il corpo ritualizzato è il miglior palcoscenico in cui si inscrive mistero e divinità.

I riti e le cerimonie sono quindi azioni umane genuine capaci di far apparire la vita in chiave festosa e magica, mentre la loro scomparsa la dissacra e la profana, rendendola mera sopravvivenza. L’erosione della comunità nella comunicazione è qualcosa che deve far riflettere tutta la nostra società per abbandonare definitivamente il narcisismo collettivo.

 

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