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Il giornalismo, ancora diviso tra vecchi e nuovi media, si rifonda sulla credibilità che non si costruisce sul successo, sull’audience e sull’essere “creduti”, ma su un fatto: non essere falsificabili.

 

 

 

La comunicazione è come una “soglia” sulla quale si affaccia la vita degli uomini: l’immagine della vita che cerca di incontrare, relazionarsi, conoscere e auto-comprendersi meglio. Comunicare se è un servizio pubblico non può fare a meno dell’educazione superando la soglia di una mera condivisione e scegliendo un’angolatura con cui vedere la realtà. La tecnologia rimane uno strumento, ma allo stesso modo rappresenta una soglia, mentre cambia l’uomo, nell’insieme dei suoi bisogni e comportamenti sociali, nelle dinamiche che i media favoriscono in quanto spazi abitativi. E in questo contesto che il gesuita Francesco Occhetta, giornalista de “La Civiltà Cattolica” inserisce l’identità del giornalista: figura che deve essere sempre più credibile con una ricerca accurata della fonte, l’attenzione alla forma e il rispetto della verità dei fatti sono gli elementi che contraddistinguono il buon giornalismo dagli altri ai quali si può farne ameno.

Al giornalismo che “informa” bisogna dare merito a quei pochi che invece “formano” coscienze libere e capaci di valutare l’accaduto. La deontologia, cioè la scienza del dovere va ripensata in base all’”etica della responsabilità”, la capacità di saper valutare gli effetti e le conseguenze delle notizie che si danno: meglio dare una notizia il giorno dopo che darne una sbagliata. Del resto, l’eccesso delle informazioni sta compromettendo la capacità di analizzare le notizie: oggi sono le notizie che inseguono il giornalista e non viceversa!

La riforma culturale ed etica si deve ispirare sempre di più ai principi di giustizia e di uguaglianza e sicuramente questo è anche nelle mani dei giornalisti anche rischiando il suo posto di lavoro se viene costretto ad occultare la verità.

 

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