La figura di San Giuseppe può insegnare tanto, tantissimo all’umanità e in particolare alle famiglie di oggi. Nell’anno dedicato al padre terreno di Cristo, un libro dal titolo “San Giuseppe. Accogliere, custodire e nutrire” (San Paolo), scritto da don Fabio Rosini, direttore del Servizio per le vocazioni della diocesi di Roma, tocca le corde della educazione dei figli, della crisi della figura paterna e del rapporto fra le persone.
In libreria dal 10 giugno scorso, il volume è stato presentato in modalità on line da Gigi De Palo, portavoce del Forum delle associazioni delle famiglie, in dialogo con l’autore, e Andrea Monda, direttore dell’Osservatore romano. “L’occasione dell’anno dedicato a San Giuseppe ha dato il ‘la’ alla volontà di scrivere il libro - dice don Fabio -. Che bisogno c’era? Abbiamo un esercito di giovani che non hanno avuto un punto di riferimento, un padre che potesse fare da sponda”. Della crisi della figura paterna si parla da anni e si dibatte su ciò che dovrebbe significare oggi essere genitore.
“L’opera di Dio va accolta, in noi e negli altri va difesa protetta dalle fragilità - continua l’autore -. L’opera di Dio va nutrita in ognuno di noi. Le persone sono belle. Sono brutte solo quando non hanno nutrito la loro bellezza oppure non l’hanno accolta. Giuseppe che sparisce è il fine ultimo dell’educazione: lasciare il figlio dandogli l’autonomia”.
Anche vedere che Maria avesse in grembo qualcosa di grande gli ha portato gioia. Questo accade a tutti coloro che non soffrono l’invidia e ai padri che gioiscono dei successi dei figli: “Giuseppe accoglie e vive una cosa grande – spiega don Fabio –. È difficile accettare la gioia negli altri ma lui lo fa”. Del resto “Il Vangelo di Matteo inizia con una genealogia per spiegare che Giuseppe è discendente di Davide. È chiaro che gli sarebbe potuta succedere una cosa del genere. Il problema è aprirsi o no alla vita? Spesso siamo rassegnati a crederci la sola cosa contorta. Il problema della mediocrità è una scorciatoia, tutti siamo chiamati al sublime. Non so se Giuseppe si fosse organizzato una vita mediocre. Ma se uno non campa per un di più fa una vita grigia”.
L’autore ricorda come per tutte le persone i padri sono sempre due: uno terreno e uno celeste. “Il passare da uno all’altro - osserva - è lo sbocciare della nostra apertura verso il cielo”. Di qui il rapporto fra l’ordinario e lo straordinario, visto che, commenta, “Senza l’ordinario non c’è lo straordinario. Se tutti i giorni si mangia come se fosse domenica sparirebbe la domenica. Abbiamo bisogno di cose ordinarie dove può irrompere lo straordinario”.
Dell’esperienza di genitore e di insegnante di religione per 18 anni parla invece il direttore dell’Osservatore Romano. “Le abitudini possono essere molto belle -rammenta Andrea Monda -. Questa bellezza di abitudini San Giuseppe l’ha offerta a Gesù bambino che è l’antidoto al mainstream di oggi fatto di adrenalina. San Giuseppe me lo immagino piallare il legno e credo che anche Gesù abbia imparato il suo lavoro.
Mi ha colpito quando nel libro, don Fabio parla di educazione dicendo che il punto di partenza è la bellezza di chi è educato. Quante volte scivoliamo nel voler piegare la realtà alle nostre idee. Come è bello invece partire dalla gioia e dalla bellezza della realtà. Giuseppe è l’allenatore che non vede il match finale, che è poi quello che succede a ogni genitore. Il mistero dobbiamo lasciarlo fiorire, anche se a volte significa seminare senza raccogliere”. Il discorso, ovviamente, non è indirizzato solo ai padri: anche le madri sono chiamate in causa. “Ogni cristiano è chiamato a lasciare il testimone - sottolinea il giornalista -. I genitori spesso sono assenti e poi diventano troppo ingombranti. Giuseppe in questo è un esempio straordinario. La sua è una figura discreta e silenziosa”.