Diventare maggiorenni nell’era digitale. Cosa vuol dire? In questo articolo troverete una acuta e originale descrizione dei diciottenni… in carica! Abitatori di una società che più che liquida sembra esser diventata gassosa. Così diversi da quelli che li hanno preceduto anche solo due, tre lustri addietro… così come a loro volta lo saranno dei loro rampanti successori. L’umanità si evolve: se sarà progresso o involuzione lo decideranno i posteri. Buona lettura!
GENERAZIONE 18
QUESTIONI DI GENERAZIONE
Non abbiamo vissuto la guerra, e nemmeno gli anni del boom economico. Non abbiamo visto cadere il muro di Berlino e neanche le battaglie per l’articolo 18. Cos’è l’articolo 18? Il crollo delle torri gemelle a New York ce l’hanno raccontato: c’eravamo, ma eravamo troppo piccoli per ricordarcelo. Qualcuno ci chiama Generazione Z, qualcun altro iGeneration, e in tanti altri modi ancora. Noi non crediamo che un’etichetta basti a capirci. Ma se proprio volete “incasellarci”, chiamateci diciottenni, con le nostre paure e qualche speranza, quella che le generazioni precedenti non ci hanno ancora tolto.
Il nuovo mondo
Potrebbe iniziare così il “manifesto” di chi quest’anno diventa maggiorenne in un mondo completamente diverso da quello che hanno conosciuto i suoi genitori, e forse anche i fratelli più grandi. Una società sempre in evoluzione e proprio per questo segnata da precariato e rottura dei riferimenti che hanno guidato chi c’era prima. Ma contraddistinta anche dalla rivoluzione digitale 2.0, che ha portato iPhone, smart city, realtà aumentata e una nuova dimensione da scoprire e inventare.
Ci sono state altre epoche di grandi eventi: la scoperta dell’America, l’invenzione della stampa, lo sbarco sulla Luna. Ma mai con così tante novità tutte assieme. Ecco le principali, viste con gli occhi dei protagonisti. Il “manifesto” della Generazione18 continua.
Dopo le Torri Gemelle
L’11 settembre 2001 è la prima data da ricordare: le Torri Gemelle di New York crollano, colpite da due aerei dirottati e usati come missili “impropri”, provocando quasi tremila morti. L’America, che da qualche anno si dedica ai film apocalittici in stile Indipendence day, dove ogni volta Manhattan viene rasa al suolo, ma solo per finta, resta sotto shock. La rovina delle Twin Towers sconvolge l’Occidente. Per un attimo, ma solo per un attimo, si teme l’inizio di una terza guerra mondiale.
Non succederà, ma da quel giorno nasce un nuovo modo di concepire il terrorismo internazionale, e anche la risposta è nuova. La paura si trasforma in rabbia e diffidenza, cresce il dubbio che il pericolo si possa annidare ovunque. Oltre ad avviare una guerra in Afghanistan, le Nazioni limitano fortemente la libertà di movimento, ordinando controlli accurati negli aeroporti e vietando anche certi generi di bagagli.
Noi quel senso di smarrimento e di rancore non l’abbiamo provato: quando è successo eravamo nella culla. Sappiamo però com’è andata a finire: a un nemico (Al Qaeda) se n’è aggiunto un altro (Isis). Sembra di essere calati in un thriller interminabile. Nessun luogo è abbastanza sicuro. Ma noi nati nel nuovo millennio abbiamo imparato a cavarcela e farci scivolare di dosso tutta questa strategia del terrore, come Ermal Meta e Fabrizio Moro che cantano a Sanremo Non mi avete fatto niente.
Alla ricerca di un posto migliore
La povertà, le guerre, un clima sempre più ostile sono un altro segno distintivo del nostro tempo. Non che non ci siano mai stati “viaggi della speranza” o cataclismi. Ma adesso capitano con una frequenza spaventosa. Altro che Legge di Murphy!
Le battaglie e le disgrazie fanno scappare la gente, anche da un continente all’altro, alla disperata ricerca di un posto migliore dove stare e costruirsi una vita. Chi ci prova è disposto a tutto per uscire dalla propria condizione.
In migliaia al giorno, soprattutto africani e mediorientali, oltrepassano città, savana, deserto e mare: molti muoiono nel cammino o affogano prima di toccare terra. Tra di loro ci sono anche tanti diciottenni. Chi ce la fa non può sentirsi “arrivato”, perché si trova solo in una terra straniera e il suo viaggio è appena all’inizio.
Evviva Internet
Un altro genere di viaggio lo offre Internet. In Italia c’è già da una trentina d’anni. Il touch screen, però, no; quando siamo nati doveva ancora arrivare. Così, siamo stati tra i primi a giocarci, a scoprirlo. Per noi è una cosa normale, come le nuove tecnologie: la Lim a scuola, la stampante in 3D. L’informatica ci affascina, maschi e femmine, fa ormai parte di noi. Come ha potuto la storia farne a meno fino a ieri?
Ci sentiamo global
Lo sviluppo dei sistemi di comunicazione ha portato alla costituzione di una community virtuale che abbraccia i cinque continenti. Se i confini geografici tra gli Stati sono (più o meno) definiti, non è così per la grande rete social: Instagram, Twitter, Facebook, Snapchat e tutti gli altri.
Dietro lo schermo i nomi degli Stati di provenienza sono solo nomi e tra noi non ci sono differenze, se non la lingua. Ma con il traduttore di Google anche quell’ostacolo è superabile: conoscere persone al di là del globo e avere notizie in tempo reale dei posti dove vivono è uno scherzo da ragazzi, oltre che molto stimolante.
Dalla società liquida a quella gassosa
Per contro, si perdono i riferimenti: è come navigare in mare aperto. Anche nella realtà tutto sembra precario: lavoro, famiglia, affetti, istruzione. La “visione global” non è l’unica colpevole. Le ragioni sono varie: la crisi finanziaria che ci ha investiti dal 2009 in poi, quella dei valori che va avanti da un po’, la deriva verso l’individualismo, il venir meno degli insegnamenti generazionali e di una comunità di riferimento che non sia il gruppo di WhatsApp. Tutti capisaldi del passato e “passati di moda” in questa società liquida, dove ogni cosa non ha più contorni definiti e le regole del gioco cambiano di continuo, a volte senza alcun senso. La vera bravura è cercare di cavalcare l’instabilità, trovare un equilibrio personale in un mondo frammentario, un’epoca che da “liquida” è diventata “gassosa”. La grande difficoltà è prevedere cosa succederà fra cinque minuti, cercando di non cadere mentre il terreno su cui camminiamo ci trema sotto i piedi. [… continua]
(di Leo Gangi, su Dimensioni Nuove di novembre 2018 - leggi l'articolo completo su https://www.dimensioni.org/2018/11/generazione-18.html )