Penso che gli auguri che ci inviamo, per lo più messaggi via cellulare, spesso sono frutto di una ricerca per scegliere la frase o la poesia o il video più belli e significativi.
Ho sempre associato questa ricerca alla preoccupazione di dare un senso, non banale, all’augurarsi “Buon Natale”. Eppure, c’è qualcosa che non mi convince: è quello che scriviamo che dà senso oppure il Natale lo ha già in sé?
Gesù, dall’evangelista Giovanni, è definito il Verbo, la Parola (logos in greco). È la Parola per eccellenza, perché è la Parola di Dio. E, quindi, tutte le parole umane se non attingono e portano a questa Parola, che è Gesù, sono chiacchiere, vano parlare o, a volte, spade affilate che uccidono più delle armi.
La Parola di Dio si fa carne (sarx egeneto, nel testo greco). “Carne” è più forte di “uomo”. Lo è, in modo particolare, di questi tempi perché “il corpo - come scrive William Davies - è diventato una delle principali aree di scontro degli esperti e delle loro prospettive morali, emotive e politiche”. Ma il corpo oggi è purtroppo sottoposto ad estremismi di ogni genere: da un parte il culto di esso (cosmesi, chirurgia estetica, ricerca fanatica del peso forma); dall’altra l’offesa della sua dignità (violenze, mutilazioni, abusi, omicidi, pornografia, discriminazioni sessuali ed etniche). Quel Bambino che giace nella mangiatoia non è un estremista: vuole la salute, non l’idolatria del corpo; vuole la pace non la distruzione del corpo.
Gesù si fa carne perché in Dio dire e fare sono indissolubili, come nella creazione dove Dio “dice” la luce “è - si fa - si concretizza” (Gen 1). E qui la sfera pubblica, politica in primis, è il regno delle parole vacue: pochissime parole autentiche legate a gesti benefici; un mare immenso di chiacchiere stucchevoli con gesti ambigui e dannosi. Una vecchia malattia che già Hannah Arendt aveva ben stigmatizzato: un potere fatto di “parole vuote e gesti brutali, di parole usate per nascondere e gesti usati per violare e distruggere”. Fino a non provar nessuna vergogna per questo modo di fare. La Arendt aggiunge, poi, che parole e gesti sono autentici se servono “a stabilire nuove relazioni e creare nuove realtà”. Per Giovanni, infatti, Gesù è pienezza che dispensa grazia e verità, parole e gesti autentici.
La Parola di Dio, come in ogni Natale, ci giunge, si fa carne, mentre siamo immersi e circondati da tante, tantissime parole umane, di ogni tipo e di diverso valore. Si potrebbe dire che la Parola si incarna nella confusione… in noi e attorno a noi. Allora lo sforzo è preparare luoghi - fisici e relazionali - in cui impariamo a dominare la nostra realtà con la Parola fatta carne.
L’incarnazione di Gesù non diventa banalizzata se, abbandonandoci totalmente in Lui, iniziamo a comprendere come la Parola di Dio si fa carne sempre e ovunque, senza chiacchiere e brutalità. Anche in noi.
*presbitero della diocesi di Bari-Bitonto, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma, presidente di Cercasi un fine aps