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“Per la Corte costituzionale non c’è un generale diritto di terminare la propria vita in ogni situazione di sofferenza. Si tratta di un’affermazione importante”.

 

 

 

È quanto afferma Alberto Gambino, presidente Centro studi Scienza&Vita e componente del Comitato nazionale per la bioetica a proposito della sentenza n. 135 della Corte costituzionale. “Il suicidio assistito - spiega Gambino - resta un’eccezione e, dunque, non si realizza alcuna disparità di trattamento tra pazienti che dipendono da trattamenti di sostegno vitale e pazienti che non vi dipendano. Anzi la Corte ritiene, giustamente, che il requisito ‘oggettivo’ dell’essere sottoposti ad un presidio sanitario eviti che si finisca per creare una ‘pressione sociale indiretta’ su persone malate o semplicemente anziane e sole, le quali - sono parole della Corte – ‘potrebbero convincersi di essere divenute ormai un peso per i propri familiari e per l’intera società, e di decidere così di farsi anzitempo da parte’”.

“La via italiana, secondo la Corte - conclude il presidente -, è dunque legittima e corrisponde a quanto già recentemente ha ritenuto anche la Corte europea dei diritti dell’uomo. La Corte sembra però sposare una posizione per la quale il sostegno vitale non coincide necessariamente con una completa sostituzione di funzioni vitali ma possa esserlo anche il trattamento che si riveli in concreto necessario ‘ad assicurare l’espletamento di funzioni vitali del paziente, al punto che la loro omissione o interruzione determinerebbe prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo’”.

Protezione dei fragili e cure palliative: questi, invece, per la presidente del Movimento per la vita italiano, Marina Casini, i due aspetti “su cui bisogna lavorare molto a livello culturale, operativo e legislativo”. Commentando la sentenza che ribadisce quanto già affermato nel 2019 con la sentenza n. 242, Casini osserva che la pronuncia “tutela la vita” e sottolinea che “i più fragili vanno comunque tutelati anche rispetto ai possibili abusi e strumentalizzazioni, primo tra i quali la spinta sociale a sentirsi un peso per gli altri con la conseguenza di indurre a optare per la richiesta di morire”.

“Fondamentale, dunque - aggiunge Casini -, l’importanza delle cure palliative da assicurare a tutti senza eccezioni”. Per la presidente del Mpv, “sono questi i due aspetti, protezione dei fragili e cure palliative, su cui bisogna lavorare molto a livello culturale, operativo e legislativo”.

“Deve restare chiaro - scandisce ancora - che le persone colpite dalla malattia e dalla disabilità sono persone da proteggere, che l’ordinamento giuridico non si piega a logiche di morte, che l’assistenza al suicidio deve restare una eccezione circoscritta in presenza dei cinque requisiti, i quattro più il quinto che riguarda le cure palliative, rigorosamente circoscritti, interpretati e intesi”.

No a “ripetere quanto accaduto con la legge sull’aborto, anch’essa preceduta da una sentenza costituzionale, la n. 25 del 1975: la Legge 194 nella disciplina dell’interruzione volontaria di gravidanza nei primi tre mesi di gravidanza è andata ben oltre i criteri stabiliti dalla Corte costituzionale”.

“Al di là dell’aspetto legislativo - conclude Casini - va assolutamente dato spazio e promozione a un’autentica cultura della vita affinché ogni persona si senta, e sappia di esserlo davvero, accolta e amata”.

 

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