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Con l’inaugurazione della stele commemorativa sul sagrato della parrocchia San Filippo Smaldone in Lecce e con un convegno di studi dal titolo “Don Filippo e Lecce: azione reciproca di un bene sociale”, svoltosi lunedì sera alle Officine Cantelmo si sono conclusi gli eventi per il Centenario della morte del santo sacerdote leccese. Portalecce pubblica oggi integralmente la relazione tenuta dall’arcivescovo Michele Seccia dal titolo “San Filippo e la Chiesa in uscita”.

 

 

 

Oggi - chiudendo le celebrazioni per il primo centenario della morte di San Filippo Smaldone, al termine di un anno così ben organizzato dalle care Suore Salesiane dei Sacri Cuori - facciamo memoria di uno degli aspetti pubblici più belli della figura del nostro Santo: il suo impatto sulla vita sociale della comunità.

Molto spesso si pensa alla figura dei santi sacerdoti come a degli uomini intrisi di preghiera, dediti alla celebrazione dei divini misteri e all'amministrazione dei Sacramenti, e profondi predicatori della Parola di Dio. Tutto questo è certamente vero, perché un sacerdote che non sia un uomo di Dio non può svolgere santamente il suo ministero, ma, in epoca moderna, si era già affermato uno stile di santità che riuscisse a coniugare il servizio a Dio e il servizio all'uomo. Al riguardo, basti pensare alle grandi figure dell'Ottocento: San Giovanni Bosco, San Vincenzo Pallotti, San Giuseppe Cottolengo.

Si tratta di Sacerdoti che hanno contribuito ad alleviare le sofferenze delle fasce più deboli della popolazione: dagli ammalati ai ragazzi di strada, dai poveri agli abbandonati delle periferie delle città.

In questa schiera di Santi, si inserisce perfettamente San Filippo Smaldone, perla del clero leccese e meridionale e apostolo dei sordi.

Uomo di intensa orazione, ma anche sacerdote attento alle necessità dei fratelli, soprattutto di quelli più fragili, San Filippo, in tutto il suo ministero leccese, si è speso per i poveri e ha combattuto tenacemente contro la dilagante piaga dell'analfabetismo.

Infatti, i sordi, a cui ha prestato particolare, ma non unica attenzione, erano considerati un peso insopportabile per la società, impossibilitati ad apprendere qualsiasi nozione e dunque incapaci di relazioni sociali. Il loro disadattamento era considerato dunque strutturale e ineludibile.

Non così però era per San Filippo, il quale, spinto dal fervore apostolico e dalle sante ispirazioni che ne alimentavano la vita spirituale, si sforzò di radunare questi ultimi tra gli ultimi per fornire loro il calore dell'amore, la luce della fede e il fuoco della loro promozione umana. Non sempre fu compreso. Molti furono a lui ostili. I benpensanti dell'epoca ritenevano che, quanto meno, si stesse perdendo tempo con queste creature improduttive, a volte violente e arrabbiate per la loro condizione. Altre critiche erano persino più feroci e non provenivano da ambienti laici, ma anche da ambienti cristiani.

Nonostante ciò, San Filippo si lasciava guidare dal Vangelo e aveva sempre in mente la guarigione del sordo operata dal Signore. Egli si rifiutava di credere che queste persone erano di categoria inferiore e, seguendo la parola di Gesù, riteneva fermamente che la disabilità era permessa dal Signore perché si manifestasse la sua gloria.

Le tristi conseguenze della malattia non erano infatti paragonabili con le più terribili conseguenze di una società narcisista, votata alla perfezione del corpo, ma paralizzata dinanzi ai bisogni dei più poveri ed incapace di offrire relazioni ricche di calore umano e di conforto religioso. Così San Filippo, mentre attuava secondo i dettami della carità, denunciava i mali della società del suo tempo ed era in grado di offrire un'alternativa evangelica allo stile di vita consolidato nella sua epoca.

La sua tenacia e caparbietà, così come i frutti che non tardarono a manifestarsi nonostante i venti contrari, costituirono un motivo di riflessione anche a livello politico e fu così che le amministrazioni locali del periodo, aiutarono l'opera di don Filippo, riconoscendone l'immenso valore sociale. Don Filippo - che nel frattempo aveva istituito un gruppo di suore che lo aiutasse nel servizio agli ultimi - volle creare un'opera che gli sopravvivesse e, anzi, si sviluppasse oltre i confini salentini.

Ad oggi, vedendo il fiorire delle figlie di San Filippo Smaldone nei diversi Continenti, è motivo di giusta fierezza vedere come il carisma di questo sacerdote, che per mezzo secolo ha percorso le strade del Salento, si sia diffuso nel mondo intero, conservando intatti sia l'originaria intuizione che il necessario adattamento e sviluppo.

Per questo, oggi facciamo memoria di questo nostro fratello maggiore e padre nella fede e nella carità.

Appena ordinato sacerdote, don Filippo avrebbe voluto recarsi in terra di missione; ma chiesto consiglio al confessore, questi gli rispose: “I tuoi infedeli sono qui: i sordomuti. La tua terra di missione è l’Italia, dove vivono moltissimi sventurati che non conoscono Dio”. Egli, che già in precedenza si era dedicato a quest’opera specifica, decise di entrare nella Congregazione fondata da Padre Luigi Aiello per svolgere l’apostolato a favore dei sordomuti non solo di Napoli, ma anche di Salerno, Sorrento, Amalfi e Ischia. Apprese gli appropriati metodi educativi e partecipò al Congresso Internazionale di Milano del 1880 e ad altri convegni. Fu direttore spirituale dell’Istituto maschile e femminile di Molfetta e in seguito a Lecce, dove maturò l’idea che delle persone consacrate si votassero al Signore per il bene dei sordomuti, seguendo la spiritualità di San Francesco di Sales. Così il 25 marzo del 1885 fondò le Suore Salesiane dei Sacri Cuori

Le invitò a vedere la presenza di Cristo nella persona dei sordomuti, e in lui li amava, li serviva, li educava. Lasciò così al suo istituto religioso - come messaggio e come programma - la pedagogia dell’amore, fatta di comprensione, di pazienza, di bontà senza limiti.

San Giovanni Paolo II, nel ricevere le Suore in occasione del centenario della fondazione, ebbe a dire: "Il vostro fondatore seminò con abbondanza e generosità, passando attraverso tante tribolazioni: ma la mietitura, e cioè il bene compiuto in questi cento anni è stato meraviglioso, specialmente in un settore così difficile e delicato".

E sempre il santo Papa polacco continuava la sua riflessione, dicendo: ''Dobbiamo certo auspicare di cuore che la scienza e la tecnica, nel campo della patologia, riescano a diminuire o ad eliminare tanti handicap che affliggono l’umanità; ma nello stesso tempo dobbiamo anche continuare a credere fermamente nella presenza dell’amore di Dio, testimoniandolo concretamente con il nostro impegno di carità e di sostegno verso chi soffre, convinti d’altra parte che - come ho scritto nella Lettera Apostolica Salvifici doloris – ‘nella sofferenza si nasconde una particolare forza che avvicina interiormente l’uomo a Cristo, una particolare grazia’” (Giovanni Paolo II, Salvifici doloris, 26).

“La forza vittoriosa della sofferenza - scriveva sempre San Giovanni Paolo II nella stessa Lettera - si manifesta in modo evidente nel Cristo risorto, che appare con i segni delle ferite della croce sulle mani, sui piedi e nel costato” (Ivi, 25).

Anche il Papa Benedetto XVI, nell'omelia della canonizzazione di San Filippo, ebbe a sottolineare: ''Nei sordi San Filippo Smaldone vedeva riflessa l'immagine di Gesù, ed era solito ripetere che, come ci si prostra davanti al Santissimo Sacramento, così bisogna inginocchiarsi dinanzi ad un sordo. Raccogliamo dal suo esempio l'invito a considerare sempre indissolubili l'amore per l'Eucaristia e l'amore per il prossimo. Anzi, la vera capacità di amare i fratelli ci può venire solo dall'incontro col Signore nel sacramento dell'Eucaristia".

In questo modo, Papa Benedetto ha rimarcato quanto ho cercato di esporre all'inizio della mia riflessione: la santità del sacerdote si fonda su una inscindibile unità tra l'amore a Dio, sorgente di ogni attività, e l'amore al prossimo, frutto di ogni buona azione.

Il messaggio di San Filippo è certamente valido ancora oggi. Non solo Papa Francesco ci sta spingendo verso una Chiesa in uscita, capace di ascoltare, vedere e farsi vicina ai bisogni dell'uomo contemporaneo, ma ci ha ricordato in ogni modo che il Vangelo vivo si realizza nel servizio ai poveri.

Il fenomeno odierno della globalizzazione ci impone di guardare non solo alle povertà della ''porta accanto'', ma anche alle povertà che sono geograficamente lontane da noi, ma che incidono profondamente nella nostra vita quotidiana. Non possiamo far finta di nulla e chiudere i nostri occhi nel nostro falso benessere. I poveri del mondo, i tanti naufraghi che spingono dal Sud del mondo per entrare in Italia e in Europa devono scuotere le nostre coscienze e spingerci all'accoglienza, all'integrazione e all'offerta di aiuti concreti in quei luoghi da cui i migranti provengono.

Non possiamo poi tacere i drammi dei diversi venti di guerra che oltre alla “martoriata Ucraina” oggi soffiano anche sulla Terra Santa che, nutriti dalla cultura dell'odio, si stanno pericolosamente moltiplicando. La contemporaneità della figura di San Filippo ci impone di guardare ad ogni sofferenza con gli occhi dell'amore che ascolta, accompagna e promuove la civiltà dell'accoglienza e del mutuo rispetto. Non si potrà costruire la pace senza promuovere la civiltà dell'amore, che ha per fondamento la giustizia, il rispetto reciproco e il perdono.

San Filippo Smaldone ci spinga a guardare oltre ai nostri confini e, con la testimonianza delle sue Suore che lo festeggiano, ci sproni tutti a contribuire alla costruzione di un mondo a misura d'uomo, attento ai bisogni degli ultimi e premuroso verso ogni sofferenza.

 

Racconto per immagini di Arturo Caprioli

 

 

 

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