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Si è conclusa ieri sera con la celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo Michele Seccia, presso il monastero di San Francesco e Santa Chiara, la festa in due giornate che ha coinvolto tutta la famiglia francescana leccese, dedicata al “Perdono di Assisi”.

 

 

La prima giornata di questa solennità è stata dedicata all’adorazione eucaristica, durante la quale diversi sacerdoti hanno ascoltato sacramentalmente i penitenti e i numerosi fedeli accorsi hanno potuto lucrare l'indulgenza plenaria della Porziuncola di Assisi.

Dopo oltre otto secoli dalla sua concessione da parte del Pontefice Onorio III, infatti, il “Perdono di Assisi” rimane un’importantissima pratica spirituale, la cui utilità viene tutt’oggi trasmessa a milioni di fedeli.

Nella serata di ieri, invece, la celebrazione eucaristica dedicata alla solennità di Santa Maria degli Angeli, durante la quale l’arcivescovo Seccia ha sottolineato proprio l’importanza di tenere sempre a mente l’esempio di Maria: “Grandi cose ha fatto in me Colui che è potente. Non è un abuso di potere, ma un atto di fede se proviamo, sempre contemplando la Vergine Maria, ad applicare a noi stessi queste espressioni. Perché è chiaro: la prima manifestazione di fede, di amore, di gratitudine e di devozione verso la Madonna è guardare a Lei. Ed è proprio il suo insegnamento, il suo esempio che ci riporta a guardarci in Lei come in uno specchio. È la sua grazia speciale, che ha trovato presso Dio, che si riversa su di noi, non solo perché è stata Lei a donarci il figlio di Dio, Gesù, con l’immacolato concepimento, ma perché a Lei noi siamo stati affidati e a Lei noi dobbiamo continuamente affidarci, affinché la nostra fede sia molto di più di una semplice devozione, ma sia un'esperienza molto più radicale nella nostra vita e della nostra quotidianità, affinché la nostra fede sia veramente quell'atto di umiltà che ci permette di dire a Dio: ‘avvenga di me quello che hai detto’”.

“Il luogo appartato, isolato ma non lontano dalla città in cui ci troviamo - ha continuato Seccia - ci fa percepire questo essere stati chiamati a parte, come spesso Gesù diceva ai suoi amici: ‘venite in disparte’. Andare in disparte corrisponde ad interrogarci su che cosa ci chiede Gesù, qual è l'esperienza che noi facciamo della nostra fede e in che modo noi interiorizziamo e scopriamo come una ricchezza ogni esperienza di fede che viviamo. In modo particolare nella celebrazione dell'Eucaristia dobbiamo andare sempre all'essenziale perché se non arriviamo all’essenziale vivremo una religiosità fatta di forma, di ricorrenze, di date. Tante sono le domande che dobbiamo farci ogni volta che celebriamo l'Eucarestia e riscoprire la misericordia infinita di Colui che accetta di venire a noi accontentandosi di una piccolissima parola in risposta: amen. Sarebbe bello se qualche volta ci trovassimo, anche a casa da soli e ci mettessimo a dire: amen, a dire: ‘grazie Signore del dono che tu ci fai, grazie della tua volontà, grazie di ciò che ci fai sperimentare΄”.

Mons. Seccia ha poi concluso con il ricordo dell’esempio del Poverello di Assisi: “il nostro Dio lo raggiungiamo nella profondità nell'intimo del nostro cuore, della nostra vita dei nostri pensieri. Lo raggiungiamo quando avvertiamo questo desiderio così intimo ma così raggiante, così convincente e così interrogante: accostarci a Lui per vivere della sua Parola, per lasciarsi illuminare, prendere per mano e condurci per la strada della nostra vita quotidiana. Ecco allora il momento della Porziuncola. San Francesco si ritira perché ha bisogno di godere dell'intimità divina, vuole assaporare sulla terra la vicinanza di un Verbo che si è fatto carne. Francesco, che non si riteneva degno, ma proprio per questo era ancora più vicino a Colui che gli aveva detto ‘viene in disparte lascia il tuo mondo e dedicati a me’. Ecco come dobbiamo vivere queste poche ore di stasera. Ognuno di noi ha lasciato qualcosa, ognuno si è sentito attratto, attirato proprio dal luogo, dal clima di raccoglimento, di preghiera, immersi in una natura così bella, dove forse gradiremmo di restare ancora più in silenzio a condizione che ciascuno di noi continui a coltivare il proprio dialogo personale con Dio”.

 

 

 

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