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Il Santo Natale è una straordinaria occasione per raccontare e anche difendere le nostre radici cristiane, giorno dopo giorno minacciate culturalmente, e non solo, come purtroppo la cronaca dimostra.

 

 

In tale prospettiva, la parrocchia San Giovanni Battista di Lecce, in collaborazione con Alleanza Cattolica, ha organizzato per stasera 18 dicembre una conferenza sul tema: “L’importanza del presepe nella pietà popolare”. Nell’occasione, abbiamo rivolto qualche domanda al prof. Enzo Marangione, relatore dell’incontro.

 

La tradizione vuole che 800 anni fa sia stato San Francesco a “inventare” il primo presepe a Greccio…

Sì, come si legge nella “Vita prima” del suo biografo Tommaso da Celano, il Santo di Assisi nel ricreare l’atmosfera della Natività, voleva in qualche modo guardare proprio con i suoi occhi i disagi in cui nostro Signore neonato si è trovato, per la mancanza delle cose più necessarie. Infatti, nella grotta vennero introdotti solo il bue e l’asinello. Nessuno dei presenti prese il posto della Madonna, di San Giuseppe e del Bambino. Da quel giorno il presepe diventa un racconto da tramandare. Alla fine del Cinquecento, Teatini, Francescani, Gesuiti e Scolopi favorirono la diffusione del presepe al fine di alimentare ed incrementare sempre più la fede.

 

Il Natale festeggia una nascita: una nascita speciale ma pur sempre una nascita. Per un’Italia gravemente segnata dall’“inverno demografico”, questa solennità può rappresentare anche un significato simbolico?

L’inverno demografico è chiaro segno di un declino, perché il ricambio generazionale è vitale per una società.

Se la nascita di un bambino è il segno di speranza più forte di tutti i sentimenti di desolazione, il bambino che Maria e Giuseppe deposero nella mangiatoia porta con sè il segno di una speranza ancora più grande, perché indica l’orizzonte della nostra salvezza. È proclamazione di significato, è orientamento delle nostre scelte di vita.

 

In questo tempo il consumismo impazza. Il senso religioso del Natale rimane appannaggio per i soli credenti o, peggio ancora, per i soli praticanti?

Natale è incanto, stupore, sogno! È il giorno dell’anno che apre alla speranza in un futuro migliore, benché il consumismo vorrebbe diventarne il solo padrone. Allestire il presepe o visitarlo è questione di fede, ma anche di arte, di storia, di cultura e ognuno di questi aspetti può essere importante per raccontare il Natale a chi è credente e a chi non lo è. Il simbolismo religioso, per le sue caratteristiche di semplicità, immediatezza ed universalità, facilita la comprensione e la diffusione di concetti-chiave della religione in mezzo alla gente. Le immagini sacre sono altrettanti simboli che aiutano e rafforzano la devozione.

 

Lei distingue fra presepe e Natività…

Possiamo distinguere tra Natività (che è rappresentata solo da Maria, da Giuseppe, dal Bambinello, dal bue e dall’asinello) e il presepio che, su uno sfondo montagnoso e pastorale, è animato da molteplici personaggi. Si introducono nel presepe statuine di personaggi del popolo, soprattutto i più malandati, i più umili come i nani, le donne con il gozzo, i mendicanti, gli ubriachi, gli osti, i ciabattini. I poveri e i derelitti, che Gesù più di ogni altro amava e tra i quali era nato, si riprendono una rivincita.

 

E allora veniamo al presepe e ai suoi protagonisti. Lei racconta che ogni personaggio rappresenta un’esperienza di fede. In che senso?

Sì, fare il presepe significa compiere un vero e proprio percorso spirituale. Nel presepe ogni personaggio ha un suo ruolo e un posto preciso, ha una sua storia, un suo significato nell’annunciare al mondo la buona novella. Per comprendere il presepe bisogna entrarci dentro e fare lo stesso percorso dei pastori, che arrivati alla grotta rimasero pieni di stupore di fronte al miracolo di un Dio che si fa bambino. Per intraprendere il nostro viaggio “dentro il presepe” si parte dalle profezie che annunciano la nascita del Messia e che sono richiamate dalla presenza della zingara. Un altro personaggio che ci aiuta è l’uomo della meraviglia: si posiziona al centro di fronte alla grotta. Non ha nulla, nell’abbigliamento o nell’azione, che rimandi a qualsiasi lavoro. Bisogna mettersi dunque nei panni dell’uomo della meraviglia e provare il suo stesso stato d’animo. I vari personaggi raccontano l’attesa del prodigio, ma anche il bisogno di prolungarlo oltre, nel tempo da vivere, nelle stagioni della vita e nei mesi fatti di quotidiano sudore. E così il presepe si trasforma in mercato. Gli artigiani rappresentano tutte le professioni. I venditori, secondo la tradizione, personificano i vari mesi dell'anno, in relazione alla loro attività lavorativa… Dunque, quella del presepe è una meraviglia che può accompagnarci per tutti i mesi dell’anno e per tutte le stagioni della vita.

 

Non c’è dubbio che la grande tradizione sia quella napoletana. Ma anche il Salento rivendica un suo posto nell’arte presepiale…

Sin dal XIV secolo in Puglia si comincia a differenziare la rappresentazione della Natività da quella del Presepe. Questo passaggio può essere colto proprio nella chiesa francescana di Santa Caterina a Galatina. In una arcata della navata sinistra, un grande affresco, con la rappresentazione della Natività, fa da sfondo al presepe in pietra (attribuito allo scultore Nuzzo Barba), sullo scorcio del XV secolo. È unanimemente ritenuto il più antico presepio di Puglia. È nel corso del XVI secolo, tuttavia, che la rappresentazione presepiale con scultura in pietra policroma trova la sua massima affermazione, cominciando poi un lento declino nel XVII secolo per ricomparire in seguito, sul finire del Settecento. In Puglia si realizzano presepi in cartapesta o terracotta. Gabriele Riccardi inscena, per la cattedrale di Lecce, il più raffinato presepe, che occupa tutto un altare.”.

 

 

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