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Ognuno di noi da ragazzino, senza distinzione tra bambini e bambine, di certo ricorda pomeriggi interi trascorsi a tirare calci ad un pallone e ad improvvisare partite tra amici in campi da gioco di fortuna nel tentativo di ripetere le evoluzioni calcistiche viste in televisione.

Qualcuno ha pure sognato di poter trasformare quel gioco in una professione, ammaliato dalla vita che conducono i calciatori professionisti. Gli idoli calcistici, d’altronde, sembrano irraggiungibili: talentuosi, scattanti, instancabili, giovani, belli e, non da ultimo, ben pagati.

Eppure, grattando la patina dorata che ricopre le loro vite, emerge un universo ben più complesso di quello che viene descritto nell’immaginario collettivo, fatto di sacrifici, rinunce, infortuni, ansia da prestazione ed impegno costante. Perché i calciatori, prima di essere idoli, sono atleti che dedicano la loro vita allo sport.

Ed è questa prospettiva che don Giovanni Serio, parroco della chiesa di “San Filippo Smaldone” in Lecce, ha voluto abbracciare e valorizzare, facendosi promotore per la quarta edizione di una interessante ed educativa iniziativa che ha visto protagonisti, lunedì scorso, una delegazione della Primavera del Lecce ed i bambini e i ragazzi del catechismo e del quartiere in un incontro alla pari.

I due giovanissimi talenti, Ilario Monterisi (17 anni) difensore centrale e Roberto Pierno di (18 anni) terzino destro, volentieri hanno sottratto del tempo al loro allenamento per incontrare i piccoli tifosi e la comunità parrocchiale, mettendo a nudo le luci e soprattutto le ombre dell’essere calciatori di serie A, e rispondendo con spontaneità a tutte le domande e le curiosità.

La loro è la storia di due giovani “sognatori con i piedi per terra” e di una passione, quella per il calcio, nata tra le mura domestiche fin dalla tenera età - Monterisi, ridendo, ha ammesso che la sua prima parola, a dispetto di ogni comune previsione, è stata “gol” - ed alimentata dal sogno di poter, un giorno, giocare ad alti livelli. E questo sogno, nonostante la giovane età dei due ragazzi, sembra, in parte, essersi realizzato con la chiamata nella Primavera del Lecce. Una convocazione frutto di talento ma, soprattutto, di forza di volontà e di lavoro duro, fatta di soddisfazioni ma anche di cadute. 

È la vita dello sportivo quella che emerge dalle parole dei due giovani calciatori, piena di rinunce, sacrifici, di continui trasferimenti da una scuola all’altra, di studio serale dopo gli sfiancanti e quotidiani allenamenti, di difficoltà a coltivare amicizie all’infuori della squadra e, soprattutto, di lontananza da casa e dall’affetto della famiglia che ha scommesso su di loro. È la vita di chi non si risparmia per raggiungere il proprio obiettivo e sogna in grande, ma anche di chi non si lascia irretire dal canto del facile successo; che resta ancorato alla realtà quotidiana ed imprime nella propria attività i valori della famiglia, dello studio come dovere imprescindibile e vive lo sport in modo genuino, come momento di aggregazione e maturità sociale, senza dimenticare il divertimento ed il gioco di squadra.

Dall’incontro è emerso, dunque, il ritratto di due ragazzi con una maturità maggiore rispetto a quella che normalmente si riscontra in un adolescente. Infatti, pur consci delle loro possibilità e del loro talento ed abituati ad autogestirsi hanno mostrato di essere, altresì, consapevoli che i loro traguardi calcistici sono prima di ogni cosa  dovuti al supporto ed al sostegno della loro famiglia, sempre presente e attenta alle loro esigenze ed ai desideri, e perciò disposta a  sostenere sacrifici; esempio di famiglia intesa come comunione di affetti in cui il giovane trova conforto nei momenti di debolezza e da cui riceve la spinta per superare le proprie insicurezze e perseguire la propria strada.

È una testimonianza positiva e formativa quella lasciata dai due giovani calciatori ai ragazzi della parrocchia; quella di un calcio sano e pulito in cui si bilanciano con estrema naturalezza divertimento e passione e doveri e responsabilità, sempre nell’ottica del rispetto dell’altro e delle regole; di uno sport che, a volte, può “salvare la vita” a giovani che si trovano a vivere in situazioni di degrado economico e sociale, allontanandoli da altre effimere chimere e derive.

Non si può, quindi, che auspicare che il messaggio di Ilario e Roberto venga colto dai ragazzi che li hanno ascoltati “rapiti” e che sia di sprone a non demordere e a perseguire i propri sogni con grinta e forza di volontà, senza lasciarsi abbattere dagli inevitabili ostacoli di percorso.

 

Forum Famiglie Puglia