“Senza pace”: è il dolente, urticante titolo di copertina del magazine “Terra Santa”, che mi sono portato dietro dal mese di ritiro personale trascorso di recente a Gerusalemme.
Dopo l’intenso ritaglio di tempo quaresimale, passato a pregare per la pace in quella terra benedetta e travagliata, continua a martellarmi in cuore una domanda inaggirabile: cosa significa per noi cristiani, in tempi così drammatici, fare Pasqua?
Lo sappiamo: è una esperienza capovolgente, la Pasqua. È la rivincita della vita sulla morte. Il contropiede dell’amore sull’odio. Il sorpasso della pace sulla violenza. Alla presenza del Risorto il sepolcro delle nostre paure si riapre puntualmente ad una rigogliosa letizia.
Ma quale Pasqua abbiamo vissuto quest’anno? In un tempo di buio pesto come l’attuale, l’arcobaleno della pace sembra che proprio non ce la faccia a sorriderci a cielo aperto e ad abbracciare la terra, questa “aiuola che ci fa tanto feroci”. Allora: ridurremo la madre di tutte le feste a un sogno soporifero? La baratteremo come pia illusione per anime belle?
No. A noi cristiani e alle donne e agli uomini di buona volontà non è dato di arrenderci. Il Risorto è là, e continua a bussare dall’interno dei nostri cenacoli sprangati a doppia mandata. Per uscire. Per farci uscire. Per farci andare per le strade del mondo a portare la pace. “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”. Non è un augurio vaporoso. È un annuncio limpido e solido, declinato al presente. È un grido di felicità: “Beati i costruttori di pace”. Basta con la tirannia della paura. Basta con la dittatura della violenza. Il Risorto non ci dà la pace come ce la dà il mondo. Il mondo ce la rifila come un più o meno schermato equilibrio di forze, armate fino ai denti. Anzi ce la sbandiera come la schiacciante vittoria del più forte.
Ma perché non apriamo bene gli occhi? Certo, ci occorrono occhi puliti, che ci vedano bene, senza lenti deformate e deformanti. Occhi di cuori buoni, puliti, trasparenti. Prima di tutto per guardare in faccia il Gesù crocifisso e risorto. È un uomo mite, inerme, forte ma mai crudo, dolce ma non buonista. Ci ha rivelato che Dio è Abbà, Padre-Babbo di tenerissima misericordia. Il quale ogni giorno fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Un messaggio tanto sconvolgente e un linguaggio così singolare non potevano non inquietare farisei, sadducei, devoti osservanti, autorità religiose e politiche. Questi risentimenti hanno preso corpo in un complotto contro di lui. Alla fine, tradito da Giuda, quando vengono per catturarlo, i discepoli tentano una patetica scaramuccia, da lui spenta sul nascere. Anzi il Maestro si offre come ostaggio, per permettere la liberazione dei suoi. Trascinato in un processo-farsa, non fa minimamente cenni di autocritica, e così viene condannato alla morte più infamante e, indicibilmente, la più straziante: la crocifissione. Dall’alto del tremendo patibolo si appella al Padre, al quale però non chiede di incenerire i propri avversari, ma di perdonarli, addirittura di scusarli. Capiamo allora perché il suo Abbà non abbia mosso un dito per far scendere il Figlio sano e salvo dalla croce. Perché? Ma perché non è un Dio violento. Proprio come il Figlio-Messia, suo specchio fedele: testimone di pura pace, profeta di incontaminata non-violenza.
Un secondo sguardo lo volgiamo alla realtà. Ci rendiamo conto di quanto si spenda nel mondo in armi? La ‘bellezza’ (!?) di 1.300 miliardi di euro all’anno. Secondo il rapporto del Sipri (Stockholm international peace research institute) il 2022 è stato un anno da record per la spesa in armi a livello mondiale: 2.240 miliardi di dollari. E pensare che appena il 10% di quella somma spropositata e scandalosa basterebbe a risolvere il dramma della fame nel mondo. Ma, poi, le guerre in corso quante vittime hanno causato? Per quella tra Hamas e Israele si calcolano centinaia di vittime civili sul fronte di Israele e migliaia (oltre le 30mila) nella striscia di Gaza, ormai ridotta a un ammasso sterminato di macerie fumanti. Come non vedere il mondo tutto in fiamme? Vogliamo continuare a scendere la china che ci sta portando dritti all’inferno nucleare? Eppure, noi non rinunceremo mai a fare Pasqua. Anzi. La veglia della notte santa parla già di suo. Il buio delle nostre chiese è stato punteggiato da tante piccole luci. Il messaggio è lampante: cento, mille candele spente non ne accendono nessuna. Dieci, cento fiammelle palpitanti ne accendono mille e più di mille.
*vescovo emerito di Rimini