Ogni anno liturgico inizia con l’Avvento. Nell’ordinamento generale dell’anno liturgico, da una parte si afferma che questo tempo è preparazione al Natale, ma subito si aggiunge che esso è il tempo attraverso cui lo spirito viene guidato all’attesa della seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi.
Queste due prospettive sono strettamente legate l’una all’altra. La nascita di Gesù prepara l’incontro definitivo con lui: siamo in qualche modo di fronte al mistero di un’unica venuta, nel senso che la prima inizia già ciò che verrà portato a compimento nella seconda. L’avvento è caratterizzato contemporaneamente da entrambe: è attraverso la tensione verso la solennità del Natale che il tempo di avvento diventa tempo di devota e gioiosa attesa della venuta ultima del Signore. Dunque, non due ma un’unica attesa che la Chiesa oggi vive e che si radica sull’evento storico dell’incarnazione. Attendere la venuta storica del Verbo sarebbe unicamente un nostalgico ricordo di un fatto avvenuto nel passato e non più ripetibile; ugualmente slegare l’attesa escatologica dalla venuta nella carne vorrebbe dire eliminarne le “radici” e cancellare il fondamento e il “linguaggio” della speranza.
L’Avvento è caratterizzato dalla celebrazione del mistero del Veniente e vivere l’Avvento significa immettersi in un itinerario, in un percorso che ci incammina verso Colui che viene: il termine ad-ventus indica proprio la tensione dinamica verso colui che viene dal futuro, che si fa presente nell’oggi, e che ci trascina con sè. La Scrittura con i suoi 73 libri, si conclude con un’invocazione che è nello stesso tempo una solenne professione di fede: “Maranathà”, sintetica espressione aramaica che viene tradotta: “Vieni, Signore Gesù” (Ap 22,20). Questa invocazione esprime tutta la dinamica della vita cristiana che è, in ultima analisi attesa del Regno che viene, realtà tanto centrale del messaggio cristiano da essere presente nell’unica preghiera che Gesù ha voluto insegnarci: “Venga il tuo regno”. Realtà che è pure proclamata nel cuore dell’Eucaristia, vertice del culto cristiano: “Annunciamo la tua morte, Signore; proclamiamo la tua risurrezione nell’attesa della tua venuta”.
Celebrare e vivere il tempo di Avvento significa rimettere al giusto posto nell’esperienza cristiana l’attesa del Signore, il giudizio universale e l’avvento del Regno… realtà che troppo spesso noi releghiamo nel futuro e nell’aldilà, quali sterili capitoli finali della dogmatica cristiana.
Vigilanza, attesa e giustizia, caratteristiche dell’avvento, richiamano la virtù della speranza! La riscoperta della centralità della speranza e dell’“orientamento escatologico” è una delle più grandi acquisizioni della teologia del XX secolo, che tuttavia non è ancora stata sufficientemente recepita nella vita e nella spiritualità cristiana.
L’Avvento è il tempo liturgico della grande educazione alla speranza: una speranza forte e paziente; una speranza che accetta l’ora della prova, della persecuzione e della lentezza nello sviluppo del regno; una speranza che si affida al Signore che libera dalle impazienze soggettivistiche e dalle frenesie del futuro programmato dall’uomo.
Il tempo di Avvento con il suo richiamo alla dimensione escatologica trascendente della salvezza, fondata sul mistero dell’incarnazione, della morte e risurrezione del Signore, è occasione per educare al senso più pieno e dinamico della vita, alimentata e confortata dalla speranza. Più volte è stato fatto notare che nelle nostre assemblee si trovano praticanti senza speranza. È necessario, dare alle nostre assemblee la coscienza delle vere e profonde dimensioni della speranza cristiana, fondata sulla venuta di Cristo «nostra speranza». L’autentica e integra educazione “escatologica” del popolo credente deve portare i credenti alla certezza di fede che «il Cristo, cui è stato dato ogni potere in cielo e in terra, tuttora opera nel cuore degli uomini con la forza del suo Spirito, non solo suscitando il desiderio del mondo futuro, ma per ciò stesso anche ispirando, purificando e fortificando quei generosi propositi con i quali la famiglia degli uomini cerca di rendere più umana la propria vita e di sottomettere a questo fine tutta la terra» (GS 38).
Il tempo di Avvento aiuti le famiglie cristiane a diventare dei veri propri “presepi viventi”, luoghi cioè dove si accoglie costantemente la salvezza e dove la presenza di Cristo dimora in maniera stabile.
*docente di liturgia presso il Pontificio Istituto Liturgico «S. Anselmo» in Roma