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In questo mese di ottobre, dedicato alla vocazione e alla missione della Chiesa e di ogni cristiano, può essere utile presentare un’interessante esperienza.

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A Trento, da due anni c’è un’ammirevole forma di accoglienza e convivenza promossa dai Missionari Comboniani.

Non si tratta solo di conoscere il loro servizio alla Chiesa locale guidato con impegno dal superiore Padre Tullio Donati nel rendere gli altri partecipi della loro esperienza e ansia missionaria con momenti di sensibilizzazione, formazione e attività di pastorale giovanile.

I Comboniani hanno aperto a tredici richiedenti asilo e rifugiati la loro comunità di via Missioni Africane, già impegnata sul territorio con alcuni servizi e in viva comunione con l’arcivescovo.

In particolare, è utile conoscere la testimonianza di convivenza, impreziosita dalla fraternità, dalla ricerca del comune benessere e dall’impegno di promozione umana, offerta da un gruppo di giovani costituitisi in comunità.

Affini nelle scelte, con ideali comuni pur senza essersi conosciuti in precedenza e con esperienze varie nelle rispettive parrocchie, come le attività della Fuci e degli Scout, Miriam, Stefania, Elena, Luis, Emanuele e Tommaso si sono trovati quasi per caso in un gruppo di cittadinanza attiva riflettendo su tematiche sociali.

Con i Padri Comboniani e il Centro Astalli, essi si impegnano non a gestire l’accoglienza, ma a curare la formazione umana di una comunità composta da tredici immigrati di diverse nazioni che non si conoscono e quindi devono imparare a convivere assieme sperimentandone le normali difficoltà.

Quasi come vicini di casa degli ospiti, alcuni dei quali già impegnati nel lavoro o a scuola, hanno un salone in comune per dialogare, affrontare le varie problematiche, cantare insieme, giocare a calcetto...

Sottolineando la viva soddisfazione per la disponibilità all’ascolto e al dialogo da parte dei Padri, il gruppo dei volontari, composto da sei giovani universitari o laureati, qualcuno dei quali già con attività lavorativa, sta compiendo pertanto una forte esperienza di servizio comunitario.

”Anche per noi - confidano - è stato un imparare a saper convivere come comunità di operatori.

“Questa comunità - commenta uno di loro, Luis, messicano laureato in fisica da qualche mese - mi ha educato alle relazioni con tutti ed oggi siamo diventati una famiglia”.

“Certo, – spiega poi Miriam, volontaria di Bergamo - insieme siamo cresciuti noi tutti anche grazie ai Comboniani. Ma è soprattutto molto bello costatare che pure i tredici rifugiati, condividendo con loro l’esperienza, hanno potenziato la maturità umana, per cui pure i più timidi sono diventati parte attiva della comunità”.

Il gruppo di volontari si dichiara davvero felice: ha sperimentato concretamente che si può vivere un sogno di fraternità che magari era nascosto dentro il cuore e che si possono vincere tante sfide, realizzando ideali quali l’accoglienza e il rispetto della vita.

 

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