Può sembrare strano ma Roma e Betlemme, che un tempo furono rispettivamente la capitale del mondo e uno sperduto villaggio giudaico, sono unite da un filo rosso proprio attraverso la memoria della nascita di Cristo.
In pochi oggi sanno infatti che, proprio lungo il Tevere, è custodita, da più di tredici secoli, quella che la devozione popolare indica come la Santa Mangiatoia del Salvatore.
Lo abbiamo scritto altre volte su queste pagine: la lipsanologia (cioè lo studio delle reliquie) è una materia complessa, delicata, da non giudicare in maniera frettolosa o banale. Il culto delle reliquie, del resto, è antichissimo, risale ai primi tempi del cristianesimo e testimonia, di fatto, una chiara presenza di aeternitas. Se allora parliamo della Santa Mangiatoia è perché tale reperto è sempre stato circondato dall’amore di innumerevoli generazioni di credenti e questa fede semplice quanto sincera va accostata con rispetto e sensibilità.
Nella basilica di Santa Maria Maggiore dunque, sotto l’altare pontificio, in quella che è definita “cappella della confessione”, è possibile ammirare un preziosissimo reliquiario di cristallo. Risale al 1797, è opera del celebre architetto ed orafo italiano Giuseppe Valadier (1762-1839) e venne offerto dalla duchessa di Villahermosa, Maria Emanuela Pignatelli (1753-1816). Ha una forma ovale, viene sorretto da quattro angeli dorati che posano a loro volta su un parallelepipedo argenteo istoriato con le scene della natività, dell’adorazione dei magi, della fuga in Egitto e dell’ultima cena. Il tutto è infine sormontato da un bambinello benedicente. La splendida custodia conserva cinque assicelle d’acero di Palestina che, unite insieme con delle tacche, formano una sorta di cavalletto, base per le greppie in fango cotto tipiche dell’antica Giudea. Una tradizione popolare consolidata, sebbene non pienamente documentabile, identifica in questo manufatto la mangiatoia in cui fu deposto il Cristo neonato.
A dire il vero, già Origene (185-254), nel Contro Celso, testimoniava come i fedeli del suo tempo venerassero il luogo in cui il Redentore era venuto al mondo. Mentre San Gerolamo (347-420), che volle trascorrere l’ultima parte della sua vita a Betlemme, riferisce nell’Apologia contro Rufino, di aver più volte pregato proprio dinanzi alla mangiatoia del Messia. Il trasferimento della reliquia in Italia è di solito attribuito a San Sofronio di Gerusalemme (560-638) che, preoccupato per l’assalto islamico alla Terra Santa, avrebbe deciso di inviarla al Papa Teodoro I (†649), la cui famiglia era di origini orientali, se non addirittura greco-palestinesi. Giunta a Roma, la greppia fu custodita nella basilica di Santa Maria Maggiore, altrimenti detta Santa Maria ad Praesepem. Il racconto che ascrive la fondazione di questo tempio al pontefice Liberio (†366) in seguito ad una miracolosa nevicata estiva sull’Esquilino è noto. Tuttavia, è doveroso ricordare come, nel corso del V sec., Sisto III (†440) volle legare strettamente questo luogo alla memoria del Concilio di Efeso del 431. Assise che aveva proclamato il dogma della divina maternità della Vergine ed alla quale egli stesso aveva preso parte.
In ogni caso, a partire dal XII sec., le fonti che descrivono una profonda devozione per la Santa Mangiatoia conservata a Roma si fanno sempre più numerose. Giovanni Diacono, nel suo Liber de Sanctis Sanctorum, non esita a dichiarare che, nella basilica liberiana, “si trova la culla del Signore nella quale il Bambino giacque”. Notizia riferita, con tono commosso, anche da Francesco Petrarca (1304-1374) che descrive come, in quel luogo sacro, i pellegrini si recassero proprio per venerare la Cunabula Salvatoris. E non è poi un caso che, nel medesimo tempio, venne collocato il presepe più antico della storia, realizzato da Arnolfo di Cambio (1235-1302). L’idea di racchiudere quei listoni di legno in un tabernacolo è invece ricondotta a Gregorio XI (1330-1378). Ma l’urna da lui voluta andò persa nel Settecento e la successiva scomparve durante l’occupazione napoleonica. Fu così che si giunse all’attuale reliquiario.
Oggi, quasi a guardia perenne della Santa Mangiatoia, sorge una solenne statua di Pio IX (1792-1878). Questo simulacro, che raffigura il pontefice dell’Immacolata genuflesso in preghiera, venne commissionato da Leone XIII (1810-1903). È un atto di riparazione per gli oltraggi subiti dal predecessore quando, durante il corteo funebre papale, un gruppo di facinorosi aizzati da Felice Cavallotti tentarono di gettare il feretro di Pio IX nel Tevere.
Nelle scorse settimane la teca della Santa Mangiatoia è stata riaperta al fine di prelevare un frammento ligneo destinato a tornare a Betlemme. “Siamo emozionati e grati a Papa Francesco per questo dono e per il diritto di preservare questo tesoro. Per noi è molto significativo che una reliquia della culla del bambino Gesù, che ha lasciato Betlemme nel VII secolo, torni ora in Palestina. Il suo ritorno è un grande onore per tutti i credenti”, ha affermato Padre Francesco Patton della custodia francescana di Terra Santa ad Haaretz.com.