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Proprio ieri, V di Quaresima, mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano e segretario del Consiglio dei cardinali, ha indirizzato ai suoi sacerdoti una lettera su «Il ministero della Riconciliazione nell’emergenza Covid-19» (SCARICA QUI SOTTO IL TESTO INTEGRALE).

 

 

L’occasione di tale iniziativa, come egli stesso precisa, è stata determinata sia dalla pubblicazione della Nota della Penitenzieria Apostolica, «circa il Sacramento della Riconciliazione nell’attuale situazione di pandemia» - dove si ricorda non solo che la via ordinaria per la celebrazione del sacramento della Penitenza è la confessione individuale, ma si rammenta pure la condizionata possibilità della cosiddetta assoluzione collettiva - sia dall’Omelia di Papa Francesco nella messa mattutina del 20 marzo - durante la quale, riprendendo quanto espresso nel Catechismo della Chiesa Cattolica, ricorda che nella impossibilità di confessarsi ad un sacerdote si può ricorrere all’atto di contrizione perfetta, in attesa di poter accedere al sacramento –.

Il contesto, invece, in cui si colloca questo intervento di mons. Semeraro è quello di una evidente carenza di formazione teologica, sperimentabile in non pochi ecclesiastici, che in questo periodo cercano la luce dei riflettori per veicolare “stravaganze” in ambito teologico e liturgico. Viene alla mente la parabola evangelica del cieco, che Luca usa per attirare l’attenzione e la vigilanza dei discepoli, nella quale Gesù rivolge ai suoi questo monito: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?» (Lc 6,39).

Lo stile della lettera, autorevole e chiaro, - autorevole, perché fedele alla dottrina e al Magistero della Chiesa, chiaro, perché va al cuore del problema senza tergiversare, - ci fa tornare con la mente (da suoi ex alunni) ai tempi della formazione teologica nelle aule del Seminario di Molfetta, dove “don Marcello” - così eravamo soliti chiamare il nostro professore di dogmatica - teneva le sue lezioni, indimenticabili per chiarezza e saggezza.

L’oggetto della lettera, dunque, è quello della prassi circa l’amministrazione del Sacramento della Penitenza e degli abusi connessi: in particolare, tratta dell’assoluzione collettiva, dell’atto di contrizione perfetta, della confessione tramite telefono o internet. Poiché intende offrire non “disposizioni”, ma “argomentazioni”, la lettera di mons. Semeraro offre una densa sintesi di teologia sacramentaria con la quale richiama i pastori ad essere “custodi e amministratori” e non proprietari e padroni dei Sacramenti, amministrati a proprio piacimento e non secondo quanto istituito da Cristo e stabilito dalla Chiesa.

Siamo grati, dunque, per questo contributo chiaro e preciso che mons. Semeraro ha voluto fare non solo al suo presbiterio, ma anche a tanti sacerdoti i quali, nel leggerlo e meditarlo, sperimenteranno un accrescimento della loro identità teologica, spirituale e pastorale.

*Docente presso il Pontificio Istituto Liturgico - Roma

 

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