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La Fondazione don Tonino Bello ha festeggiato in questi giorni il suo trentesimo anniversario di vita e di impegno, un traguardo che rappresenta non solo la memoria di un grande uomo di pace ma anche una rinnovata responsabilità verso un mondo più giusto e solidale.

 

 

 

Nata per custodire e diffondere il messaggio spirituale e l’eredità profetica del vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, la Fondazione ha attraversato tre decenni di progetti e iniziative che hanno ispirato generazioni, mantenendo viva la voce di chi, con il sorriso e il coraggio, ha costruito ponti laddove altri vedevano muri. Attraverso l'intervista con Giancarlo Piccinni, presidente della Fondazione, ripercorriamo i momenti salienti di questa straordinaria storia, riflettendo sul valore della pace e sull'importanza di trasmettere alle nuove generazioni l'insegnamento di don Tonino.

 

 

Presidente Piccinni, la Fondazione don Tonino Bello compie trent’anni. Come è nata e qual è il significato di questo traguardo per lei e per la Fondazione?

Il trentesimo anniversario della Fondazione rappresenta un momento di riflessione e di grande significato per tutti noi. È il risultato di un impegno che ha visto coinvolte tante persone, che hanno creduto nella missione di don Tonino e nel suo messaggio. Indelebile nella memoria il 20 aprile 1993, triste giorno in cui abbiamo preso coscienza che don Tonino, fratello-vescovo premuroso, non ci stava più accanto. Abbiamo vissuto non solo il vuoto di una presenza amica, di una guida illuminata, ma era venuta meno una visione di umanità e di ecclesialità incarnata nella quotidianità. Per questo fu unanime la decisione di dare corpo e sostanza a quel patrimonio di spiritualità e di profezia che don Tonino ci aveva lasciato in eredità.

 

 

Dove vi siete riuniti per la prima volta e chi eravate? Ci può raccontare quel momento?

A muovere il primo passo verso la creazione della Fondazione fu la riunione che si tenne il 18 novembre 1994 ad Alessano, nella casa di famiglia di don Tonino, da lui stesso lasciata perché si costituisse un centro per la promozione della cultura della pace, della nonviolenza, della salvaguardia del creato. Quel venerdì sera di 30 anni fa sette persone posero la prima pietra di questo cammino costituendo il comitato che porterà poi alla nascita di quella che è poi diventata un'infrastruttura culturale. A quella riunione parteciparono, oltre al sottoscritto, i fratelli di don Tonino Bello, ovvero Marcello, scomparso cinque anni fa, e Trifone, che fu il primo presidente. Con loro il compianto rettore dell'Università di Lecce, Donato Valli, e poi Vito Cassiano, don Salvatore Palese e Vincenzo Marra.

 

 

Quali sono stati i principali progetti e attività della Fondazione in questi trent'anni?

Notevoli e molteplici sono state le iniziative e le attività di promozione. Ricordiamo nel Salento e nella Terra di Bari le cosiddette “Primavere di don Tonino”, durante i quali esperti teologi e sociologi hanno richiamato alla memoria le tappe del ministero di don Tonino; in continuità con queste e in collaborazione con la casa editrice Cittadella si sono svolti i convegni di Assisi e in collaborazione con l’Università del Salento è stata istituita la “Scuola di pace”. Del dinamismo dell’associazione fanno parte una molteplicità di convegni, tavole rotonde e dibattiti nelle scuole. Va citata anche la “Pinacoteca permanente” presso la sede della Fondazione, adozioni a distanza e la promozione di borse di studio. Nel 2011 la Fondazione attraverso la “Scuola di pace” ha promosso un percorso di formazione alla cittadinanza attiva e responsabile. In stretto rapporto con l’attività culturale e convegnistica va ricordata l’attività editoriale con pubblicazione di scritti editi e inediti di don Tonino e la pubblicazione periodica dell’organo di informazione cartacea “Il Grembiule” (LEGGI).

 

 

Quale la difficoltà più grande in questo percorso?

Non cadere in due tentazioni. La prima la nostalgia, che ti fa guardare indietro frenando l’azione nel presente, in un periodo storico in cui è necessario essere protagonisti e “contemplattivi”. La seconda è quella dell’emulazione: i santi non sono modelli da doppiare o da emulare ma sono epifania di Dio nella nostra storia, nella nostra esistenza. E questo è don Tonino nella nostra vita.

 

 

Parliamo un po' di don Tonino. Lei come lo definirebbe?

Innamorato di Dio, innamorato della pace e della gioia. Don Tonino ha contagiato il cuore di ogni persona che lo ha incontrato, con la forza di un amore che si dona a tutti, con una particolare attenzione ai giovani e ai poveri. È un pastore di pace. In tutti i modi ci ha parlato della pace: con la vita e con gli scritti, con la prosa e con la poesia, con il sorriso ed anche con la sofferenza della malattia. E lo ha fatto sempre con grande autenticità, per questo è ancora oggi sconvolgente ed affascinante: ricordo l’episcopio meta di tanta gente per un pezzo di pane, un sorriso, un incontro, un colloquio, meta di speranza.

 

 

Don Tonino profeta di pace, quindi...

Per don Tonino pace è solidarietà con il prossimo. È solidarietà vissuta con tutti, nessuno escluso, con i tossicodipendenti, con i marocchini, con “Massimo il ladro”, con “Giuseppe l’ubriacone”, con gli operai minacciati dal pericolo della disoccupazione, con gli emigrati. Pace è insonnia perché l’altro stia bene, è condividere col fratello gioie e dolori, è portare gli uni i pesi degli altri. Pace è per don Tonino convivialità delle differenze. È la convivialità, l’incontro, la tolleranza, la strada maestra della pace. Costruire ponti e non muri. Le separazioni, i confini culturali e ideologici preparano alla guerra, come possiamo purtroppo constatare ai nostri giorni.

 

 

E don Tonino è stato un profeta anche in questo…

Sì, ricordo un episodio. Alla fine del viaggio di Sarajevo, mentre abbracciava sul molo di Ancona gli eroi del pacifismo, don Tonino si lascia sfuggire una frase: “Ci rivedremo in altre occasioni”, altre occasioni di conflitto, di barbarie e di stragi. E alle domande inquietanti “Attecchirà davvero la semente della nonviolenza? È possibile cambiare il mondo con i gesti semplici dei disarmati?”, don Tonino stanco per la malattia, non aveva risposte in termini di politica umana ma non abdicava mai alla speranza della pace universale.

 

 

In che modo la Fondazione si inserisce nelle attualità mondiali, come ad esempio, per citarne alcune, la guerra in Ucraina, in Israele - Palestina e come può continuare a portare avanti il messaggio di pace di don Tonino?

La Fondazione, anche attraverso le parole di don Tonino, si è sempre schierata a favore della pace e della nonviolenza. La guerra in Ucraina è solo l'ultima manifestazione di una violenza che purtroppo attraversa il mondo. Noi cerchiamo di essere testimoni di un altro modo di vivere, fatto di dialogo e di riconciliazione. Come ha detto il card. Matteo Zuppi, che ha visitato la tomba di don Tonino, dobbiamo chiederci come mai non abbiamo ancora seguito fino in fondo gli insegnamenti di pace di don Tonino. La Fondazione continuerà a promuovere la sua lezione, attraverso le sue iniziative, cercando di accendere quella "staffetta di speranza" che possa unire le generazioni e guidarle verso un mondo migliore.

 

 

Qual è l'orizzonte della Fondazione per i prossimi anni?

L'orizzonte della Fondazione è quello di continuare a far crescere il seme che don Tonino ha piantato. Non vogliamo che il suo insegnamento diventi solo una memoria del passato, ma che viva ogni giorno nelle azioni di chi lo ascolta e lo segue. In questo mondo che sembra aver perso la bussola, la sua parola di pace, di giustizia e di fraternità è più necessaria che mai. La Fondazione ha il compito di diffondere questo messaggio e di alimentare una cultura di bellezza, di solidarietà e di speranza, soprattutto nei giovani.

 

 

Quindi la Fondazione in cammino come un pellegrino con la sola “bisaccia del cercatore”?

Sì, questo è il tema dell’ultimo intervento tenuto da don Tonino nella città di Assisi, nell’agosto del 1992. E a rileggerlo sembra quasi un testamento spirituale, il cammino verso il futuro. E per affrontare il cammino proposto da don Tonino non occorre alcun raffinato kit da viaggio. Non è richiesto alcun abbigliamento specializzato per proteggersi dai rischi dell’avventura. Al contrario. Bisogna svuotarsi piuttosto che riempirsi. Esporsi piuttosto che proteggersi.

 

 

In che senso?

Nel senso che per affrontare il viaggio suggerito da don Tonino è sufficiente l’essenziale. Pochi elementi simbolici: il bastone del pellegrino, segno del viaggio verso ‘i crocevia della storia’, abbandonando le “staccionate delle rassicuranti case di famiglia”, la bisaccia del cercatore, vuota “per riempirla dei valori che ci offrono gli altri”. All’interno soltanto un ciottolo del lago, simbolo dell’esperienza dell’incontro degli apostoli con Gesù, un ciuffo d’erba del monte delle beatitudini, un frustolo di pane allegoria dell’impegno contro le sfide della guerra e della fame, del degrado, una scheggia della croce come allegoria a disperdersi “per le vie del mondo” e un calcinaccio del sepolcro vuoto, allegoria della speranza teologale. E questo continuerà ad essere l’impegno della nostra Fondazione, in modo che la parola di don Tonino continui a vivere e ad ispirare, soprattutto i giovani, affinché possano affrontare le sfide del mondo moderno con la stessa audacia e speranza che lui ha incarnato. 

 

Forum Famiglie Puglia