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Oggi è il Giorno del dono. Dopo anni di difficoltà e di segnali negativi, stanno riprendendo quota le pratiche di donazione fra gli italiani. A fare il punto sui gesti di dono è la ricerca “Noi doniamo - edizione 2019” pubblicata dall’Istituto italiano della donazione, in occasione del Giorno del dono, che ricorre ogni 4 ottobre.

Secondo il rapporto, nel 2018 è tornata a salire, arrivando a toccare quota 18,8%, la percentuale di italiani che donano per una buona causa; sono stati 7,65 milioni gli italiani ad aver effettuato almeno una donazione in denaro negli ultimi dodici mesi, 108.000 in più rispetto al 2017.

Sempre alla data del 2018 risulta composto da 5,54 milioni l’universo di persone dedite ad attività gratuite in associazioni di volontariato. Si possono stimare 2 miliardi di ore donate ogni anno dagli italiani. Trend in leggera crescita anche sul fronte delle donazioni di sangue, con un +0,2% nel 2018. Ammontano a 1,6 milioni gli italiani che hanno donato il sangue almeno una volta. Con il teologo don Luigi Epicoco approfondiamo il tema del dono.

Don Luigi, cos’è il dono?

Il dono è la logica della gratuità in una società che invece è tutta basata sull’utile. La gratuità è esattamente il contrario: è l’inutile, ciò che non porta un utile. Noi usiamo la parola inutile sempre in maniera negativa, proprio perché è fuori da una logica di commercio. Il dono viene svalutato perché non riusciamo ad agganciarlo con la mentalità commerciale in cui siamo immersi. Eppure, tutte le cose che contano nella vita di una persona non si possono comprare, si possono solo ricevere come dono. Tutte le volte che una persona, invece, vuole comprare ciò che fa bene alla vita, con una qualsiasi forma di commercio, cade sempre nella delusione e nella frustrazione. La riscoperta e l’educazione al dono non è semplicemente un mettersi a posto la coscienza, ma il ricordarsi che l’essenziale nella vita dell’uomo si gioca sempre nella logica del dono. Se io sono capace di accorgermi dell’altro senza usarlo, senza commercializzarlo, senza domandare il contraccambio, solo in quel modo forse posso essere anch’io guardato allo stesso modo ed essere considerato in maniera inutile e, quindi, gratuita.

Il donare dà gioia?

Molto spesso scoraggio le persone che vanno a fare volontariato nella mensa dei poveri perché ciò li fa star bene. Anche questo è usare gli altri: uso i poveri per star bene io. È molto pericoloso. La gioia di cui parla il Vangelo è la gioia di vedere felice qualcuno che si ama, il fare qualcosa perché l’altro sia nella felicità. Dobbiamo stare, perciò, attenti: a volte il contentino psicologico di sentirsi meglio, perché si vede una ricaduta positiva delle proprie azioni, è una sottile forma di egoismo che si traveste a un certo punto da buonista.

L’amore con cui si dona fa la differenza?

L’amore fa avere gioia persino nel sacrificarsi: uno è capace di togliersi il pane dalla bocca pur di vedere felice qualcuno che si ama. Una madre farebbe questo nei confronti di un figlio, ma non è infelice né meno soddisfatta, anzi è pienamente nella gioia proprio perché lo può fare. In questo senso, la logica del dono supera di gran lunga la gioia del contraccambio.

Come rilanciare il volontariato, dopo un periodo di crisi?

Il volontariato è in crisi, anche se viviamo in un Paese che è generosissimo in questo settore. Noi siamo immersi in una lettura antropologica individualista. L’individuo si legge sempre a partire dal proprio ombelico, invece dovremmo tornare a una lettura antropologica della persona, cioè capire che la parte più significativa di noi è nelle nostre relazioni e non in quello che sentiamo, pensiamo, proviamo. Siamo troppo concentrati su noi stessi, perciò non riusciamo più a capire il valore del volontariato.

I giovani sono più capaci di donarsi?

Noi sottovalutiamo moltissimo i ragazzi che invece sono capaci di una generosità straordinaria e sono disposti a cambiare vita quando incontrano un’esperienza concreta di volontariato. Se fai una predica o la morale rimangono uguali; invece, se sperimentano sul campo un’attività di servizio questo li cambia in profondità. Il problema non sono i nostri ragazzi, ma gli adulti.

Come si pongono gli adulti rispetto al dono?

L’adulto se la cava con il denaro. Pensa che la donazione si traduca solo in cose. Anche i genitori fanno così con i figli: “Ti abbiamo dato tutto quello che ci hai chiesto, non ci puoi domandare nient’altro”. Non capiscono che il dono non ha quasi mai a che fare con le cose materiali, ma è dono del tempo, dell’ascolto, dello sguardo, della presenza.

E cos’è il dono per il credente?

Si gioca sempre su due versanti: quello della carità sulla carne dei fratelli, per usare un’espressione di Papa Francesco, cioè la carità che tocca concretamente le persone che soffrono, e quello della preghiera, che è l’esercizio del dono più faticoso, ma anche più trasformante per un credente. La cosa peggiore che può capitare a noi credenti, a volte, è rimanere in silenzio davanti all’Eucaristia: ci sembra così inutile, non capiamo quanto sia importante questo tipo di esperienza di stare, investire, non riportare a casa per forza quello che noi abbiamo in mente quando preghiamo. La preghiera è un bell’esercizio di dono.

 

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