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“Preghiera, poveri, pace”. Qualche anno fa papa Francesco ha saputo racchiudere in sole tre parole l’essenza della comunità di sant’Egidio a cui sono legati i Giovani per la pace, un movimento che si impegna a migliorare la città partendo dai poveri, dai bambini, dagli anziani e dagli ultimi.

Di seguito la testimonianza di Miriam Resta Corrado, Giovane per la pace che si impegna con i suoi compagni di cammino in azioni di volontariato a favore degli ultimi.

"Rendere migliore Lecce, partendo dai poveri. È questo l’obiettivo che permea ogni attività che noi Giovani per la pace di Lecce svolgiamo sul territorio. Primo passo è certamente la preghiera: consapevoli che “chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto” (Lc 11,10) e che tutto possiamo in Colui che ci da’ la forza (Fil 4,13), sappiamo quindi che nessuno dei nostri sforzi porterà frutto se non nel nome del Dio della Pace.

È per questo motivo che mercoledì scorso, come ogni settimana da cinque anni, le nostre preghiere si sono fatte carico del sogno di pace di tutti i popoli del mondo e, nella chiesa di Santa Maria delle Grazie in piazza San'Oronzo, alla presenza del nuovo responsabile per le attività culturali don Adolfo Putignano, abbiamo ricordato in particolare i 368 migranti che il 3 ottobre 2013 persero la vita nel naufragio al largo di Lampedusa.

Le nostre preghiere sono prima di tutto portavoce di chi non può avere voce, o di chi crede di essere perduto e magari non prega più, ma anche di chi sa di non essere mai solo nonostante le difficoltà, come molti dei nostri amici senzatetto che in questo anno ci hanno dato delle forti testimonianze di fede. In loro compagnia trascorriamo ogni nostro mercoledì sera, e grazie all’ospitalità di Maurizio Congedo, don Stefano Spedicato e don Flavio de Pascali nella chiesa di sant’Irene presso cui prepariamo dei panini, e grazie al ristorante “L’arte dei sapori” che ci permette di scaldare i pasti preparati da gente di buona volontà, abbiamo la possibilità di offrire un piccolo aiuto ai senzatetto e ai poveri di Lecce, un gesto che sicuramente non cambierà la loro condizione di vita, ma funge da pretesto per superare la diffidenza e creare legami di amicizia. In questo modo si instaura un rapporto di reciproca fiducia, e ciò che prima faceva paura assume un nuovo significato, perché dietro ogni situazione di degrado, di dipendenza, di aggressività e di chiusura c’è sempre una storia di sofferenza e di solitudine.

Qualcuno ci racconta di aver venduto ogni cosa nel proprio Paese per cercare fortuna all’estero, un altro ci parla della ex moglie che lo ha mandato in rovina, o ancora di figli lontani ormai da anni, o di fratelli piccoli ai quali dover garantire sostentamento. C’è chi è stato in carcere, c’è chi viene picchiato, minacciato, derubato. Col cuore in mano, ci regalano la loro fragilità. Chi passa frettolosamente dalla stazione tappando il naso e spostando lo sguardo da ciò che è considerato esclusivamente come un affronto al decoro urbano non ha idea di quanto possa arricchire l’abbraccio di un povero, o il suo “grazie” semplicemente per aver ricevuto ascolto. E’ vero, l’emergenza violenza a Lecce esiste e abbiamo avuto modo di leggerlo su tutti i giornali locali soprattutto nelle ultime settimane, ma bisogna fare attenzione a non commettere il classico errore del puntare il dito contro i poveri piuttosto che contro la povertà, dell’attribuire la colpa all’alcolizzato piuttosto che all’alcool, del condannare il violento piuttosto che insegnargli quell’amore che non ha mai ricevuto. E per evitare questo ci si deve mettere nei loro panni, guardare la città dal punto di vista degli ultimi, costruire la pace partendo dal basso. La tranquillità che regna momentaneamente a Lecce nelle zone sottoposte a controlli non è altro che la quiete dopo la tempesta, ma i poveri non rimarranno nascosti a lungo, e torneranno di nuovo a interrogare le nostre coscienze, a chiedere risposte vere e concrete".

 

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