La ritualità della morte di Cristo comincia con la Domenica delle Palme e prosegue con le processioni del Giovedì santo quando ha inizio la Settimana Santa caratterizzata da processioni che creano un’atmosfera di solenne drammaticità, di contrizione dello spirito e di mortificazione della carne.
La sera del Giovedì Santo si rinnova la visita ai sepolcri, dialettalmente li sebburchi, voce significativamente riferita a quel particolare apparato degli altari privilegiati o dedicati al SS. Sacramento, un tempo costituito dai piatti o, meglio, dalle taieddhre, pignatte basse di terracotta, appositamente preparate un paio di mesi prima della Settimana santa, contenenti esili germogli di cereali o di legumi e che, privi di clorofilla per essere stati conservati al buio, sono di un colore bianco ceruleo; formano una sorta di cuscino talvolta adornato di nastri e bandierine rosse; le taieddhre vengono poste dinanzi al sepolcro, insieme ad altri fiori (un tempo erano fiori coltivati in casa come le fresie o le tuberose) e lumi, quale segno di devozione verso Gesù dispostu ossia esposto (sotto forma di Eucaristia).
È ipotesi comune che questi piatti non siano altro che gli “orti di Adone” offerti dai greci al giovane dio che moriva per rinascere e che, quindi, siano immagine della vegetazione che risorge a nuova vita.
Secondo la tradizione bisogna visitare i sepolcri in numero dispari.
PER APPROFONDIRE
Barletta R., Quale santo invocare. Feste e riti del calendario popolare salentino, Lecce, Ed. Grifo, 2013.