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 “Igne Natura Renovatur Integra”: La natura è rinnovata interamente dal fuoco… dell’Amore, e in questa accezione il fuoco simboleggia il Salvatore: Gesù Crocifisso che reca con sé non solo la promessa di redenzione per tutti i battezzati ma anche un segno tangibile di sublime carità.

Nel Salento post risorgimentale imperversava il vibrione del colera almeno dal 1865 perdurando sino al mese di ottobre 1867. In questo contesto epidemico si inserisce l’evento prodigioso storicamente accaduto a Monteroni che, in realtà, non è che l’ultimo di un filone di paesi colpiti e vessati da questo cosiddetto morbo asiatico.

Ognuna di queste comunità riuscì a stringersi con fede attorno ai simulacri dei propri santi per chiedere la liberazione da questa calamità che decimava gli abitanti. 17mila713 persone ne furono colpite in tutto il Sud Italia e ne morirono 9mila813.

La disastrosa situazione sanitaria sempre più grave investì inesorabilmente tutti i centri salentini: Martina Franca, Massafra, Castellaneta, Taranto, Grottaglie, Manduria, Ceglie Messapica, Francavilla, Ostuni, S. Vito dei Normanni, Latiano, Brindisi, S. Pietro Vernotico, Nardò, Gallipoli, Lizzanello, Galatina, Arnesano, Monteroni e altri. Per Monteroni è il periodo dei due sindaci, Alessandro Pino e Fabrizio Carretti.

Alessandro Pino, patriota dei moti rivoluzionari del 1848, gestì l’epidemia fin dalle prime avvisaglie, tuttavia morì il 23 febbraio 1867 lasciando il testimone al nobile avvocato Fabrizio Carretti. Sono anni molto travagliati per la vita del paese che doveva fare i conti con l’endemica carenza di risorse economiche anche se gran parte della popolazione era dedita all’artigianato.

Fabrizio Carretti fu subito costretto ad affrontare il problema del contagio colerico che terminò con l’intervento miracoloso del Crocifisso. “Il colera, tuttavia, fece da spartiacque tra il vecchio e il nuovo; tante furono, infatti, le novità apportate alla vita sociale dei monteronesi. Il paese dovette conformarsi alle nuove normative tendenti a migliorare le condizioni igieniche perché obbligato, dal nuovo Regno appena consolidatosi, a dotarsi di una scuola pubblica, di un acquedotto e di nuove strade che migliorassero i collegamenti con il capoluogo e con i paesi confinanti. Ma questi nuovi canoni di promozione economico-sociale di fatto stravolsero la società monteronese, anche perché il Carretti fu costretto ad accendere mutui che gravarono sul Comune con nuove tasse che aumentarono la pressione fiscale. L’emergenza sanitaria, intanto, era sempre più stringente e tutto questo traspare anche dai giornali d’epoca, seppur combattuti sul diffondere o meno notizie che di fatto avrebbero fomentato terrore e protesta tra i lettori, pubblicarono quelle notizie istituzionali nella certezza che fossero d’aiuto alla popolazione e così salvare delle vite umane. È questo il caso dell’articolo apparso su Il Cittadino Leccese del 5 gennaio 1867, secondo il quale il Prefetto, in seguito alla recrudescenza del colera verificatasi nel Natale da poco trascorso, convocò per il                 2 gennaio 1867 il Consiglio Provinciale di Sanità di cui era Presidente, assistito dal Dottor Raffaele D’Arpe, (Vice Presidente), dal Dottor Domenico Guglielmi e da Carlo D’Arpe (Segretario), autentici ed insigni cittadini monteronesi, deliberando di mantenere tutte le disposizioni sanitarie, da osservare per evitare il contagio del colera, emanate dal Consiglio Provinciale di Sanità di Lecce nella tornata del 20 dicembre 1866 e prolungarle nel prosieguo”. (Archivio privato Giuseppe Mancarella, Monteroni).

Non si può tralasciare, infatti, l’apporto molto significativo di questi medici che compirono atti di autentico eroismo, in quel frangente così terribile, e fecero quanto in loro potere per migliorare la malsanità dell’aria che si respirava non solo nella Monteroni del tempo ma anche in tutto il territorio delle attuali province salentine. Accanto ad essi anche l’insigne figura di Vito Rizzo, già medico degli “Incurabili” di Napoli, che per primo ravvisò i sintomi della malattia endemica e ne dette comunicazione alla Commissione Medica Provinciale.

Nonostante tutto, i rimedi escogitati per combattere il morbo: salassi, accensione dei fuochi, distruzione delle masserizie infettate dalle vittime, spargimento di calce fresca nelle vie e nelle case, non dettero i risultati sperati. Niente sembrava poter arrestare l’incalzare della morte; essa non risparmiava alcuna famiglia. Dal 29 agosto al 5 ottobre i morti furono ben 83. I monteronesi esausti e duramente colpiti dai tragici eventi, senza i mezzi per debellare il contagio, animati da una fede salda, si rivolsero al Crocifisso e organizzarono una processione con il simulacro ligneo esistente nella loro Parrocchiale. E il Signore ascoltò le loro preghiere e asciugò le loro lacrime.

Nei giorni successivi a quel provvidenziale corteo di fatto i decessi diminuirono gradualmente per poi cessare del tutto. È storicamente accertato che il prodigio si compì e che la Festa fu istituita unanimemente e di concerto con il Consiglio Comunale e il Capitolo del Clero. Infatti, come riportato dal Putignano nei suoi storici volumi su Monetroni, fu richiesto un indulto al Papa Pio IX per poter celebrare ogni anno, nella seconda domenica di ottobre una messa solenne di ringraziamento. La Sacra Congregazione dei Riti concesse la facoltà richiesta. Già dal 1870, poi, giunse dalla Santa Sede l’Assenso del Sommo Pontefice che autorizzava la commemorazione dell’evento prodigioso. E il successivo Breve Apostolico datato 7 ottobre 1876 confermò “Gesù Crocifisso Compatrono Principale di Monteroni con tutti i diritti, i privilegi e gli onori che competono ai Patroni Principali”. Oggi, dopo più di 150 anni, Monteroni è ancora grata e riconoscente per questo immenso dono ricevuto da Colui che si degnò di salvarla da un’annunciata estinzione.

 

 

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