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 “Ci uei bidi l’annata granosa, Natale ssuttu e Pasca muddhrata” (“se vuoi vedere un’annata ricca, Natale asciutto e Pasqua bagnata”): è uno dei proverbi che gli anziani seduti intorno allu rueddhrulu su cui poggiava il braciere recitavano ai bambini che ascoltavano incantati le pillole di saggezza e le storie allegre e tristi dei nonni, come fossero splendide fiabe.

 

 

Ogni tanto la narrazione si interrompeva per “scarnisciare” la carbonella e per distribuire con solennità ai piccoli “le manine di Gesù Bambino” cioè i pinoli estratti con cura e attenzione dalle pigne arrostite che diffondevano un rilassante profumo di resina, mentre le donne di famiglia si affaccendavano ai fornelli. Serate d’altri tempi con le grandi “tumbulate”, sotto l’abile regia di chi conosceva i segreti significati dei numeri. Riti e tradizioni si tramandavano nelle generazioni e contribuivano a stabilire un continuum, trasmettendo saperi e cultura. Recuperare questo passato vuol dire ritrovare le radici, arricchendo il presente. L’ambito dove la tradizione si concentrava e si concentra nell’assicurare momenti di allegra convivialità era ed è il cibo. Di seguito una prima carrellata di alcune specialità tipiche del Natale nel Salento.

 

Chinuliddhre e pitteddhre

Deliziosi dolci storici salentini, preparati in quantità durante il periodo natalizio. La pasta si ottiene con farina, uova, zucchero sciolto in acqua con la cannella, un pizzico di sale olio d’oliva, vino bianco, anice qualche buccia di arancia, limone e mandarino. La consistenza dell’impasto non deve essere troppo densa o troppo liquida, ma elastica e compatta. Ottenuto un impasto liscio, per le chinuliddhre stendere la sfoglia, sottile ma non troppo; con un tagliapasta, ritagliare dei cerchi, sagomarli con la rotella, ungerli con il tuorlo d’uovo per dare lucentezza e farcirli con marmellata a scelta. Di solito si utilizzano le conserve fatte d’estate: di pere, cotogne, uva. Chiudere i cerchi dando una forma di mezzaluna e friggere in abbondante olio caldo. Si possono condire anche con miele, mostarda. Le pitteddhre si preparano con lo stesso procedimento, ma hanno la forma di crostatine stellate ripiene di mostarda o di altra marmellata.

 

Li fucazzieddhri

A Natale non dovevano mancare li fucazzieddhri, focacce preparate con una pasta ottenuta da farina lievito di birra, sciolto in acqua e olio, lasciata a lievitare per almeno un’ora, tagliata in due dischi dello spessore di tre millimetri in cui inserire la farcitura, secondo le differenti varianti della ricetta, se ne conoscono in Puglia 426. Tra quelle salentine spicca la focaccia con un ripieno di cipolle rosse di Tropea, olive nere snocciolate, capperi, pelati, peperoncino, salame piccante, scaglie di formaggio. Cuocere in forno a 200° per circa 30 minuti. Esiste una versione dolce del fucazzieddhru; per prepararla si farcisce la pasta con la mostarda.

 

Lu puddricastru

Può essere considerato il panettone nostrano, a base di farina, zucchero, uova, olio, limone grattugiato, lievito, latte. L’impasto, lavorato per una decina di minuti, si divide in tre parti da lavorare ulteriormente e da cui ricavarne tre cilindri, intrecciarli e con essi formare un ciambellone o un otto. Inserire nella pasta due uova con il guscio e infornare a forno riscaldato a 180° per circa un’ora, il tempo perché la pasta sia cotta e dorata. Toglier “lu puddicastru” dalla teglia, far raffreddare e stendervi uniformemente, escluse le uova, una glassa preparata mescolando albume, succo di limone e zucchero, in un composto denso, ma scorrevole; prima che la glassa si asciughi, spruzzare confettini colorati. In alcune ricette l’impasto viene arricchito di uva passa, noci, mandorle.

 

Pittule

Sono diventate un must della gastronomia locale servite dai ristoranti e non solo in ogni occasione come stuzzichini o antipasti. Certamente nella loro attuale preparazione non c’è la ritualità di un tempo quando l’impasto di acqua, farina e lievito veniva “schanatu” a mano a lungo e poi messo a lievitare sotto la “manta” (coperta di lana), talvolta anche tra i materassi del letto, per tre ore, allo scopo di assicurare una lievitazione a regola d’arte, prima di friggerle in olio bollente. Un tempo si faceva differenza tra la pittula vera e propria tondeggiante e cosparsa di miele, dalla “chiura” (ripiena), che aveva forma schiacciata e poteva essere ripiena di baccalà, olive e altro.

 

Purceddhruzzi” e “cartiddhrate”

Gli immancabili dolci del Natale salentino, si i trovano oggi in commercio già pronti; prepararli in casa è però tutta un’altra atmosfera. L’impasto delle due specialità è identico: farina olio, bucce di mandarino e limone, esclusa la parte bianca, lasciate sfumare nell’olio, succo di arance, vino bianco secco. Alcune ricette aggiungono lo zucchero. Lavorata a lungo la pasta fino a farla diventare morbida, si ritagliano le cartiddhrate a forma di losanghe, di farfalline, in listarelle intrecciate o come la fantasia suggerisce. I purceddhruzzi si ricavano invece da una serpentello di pasta ritagliato a tocchetti, ripassati sui rebbi di una forchetta. Una volta fritti, cartheddrate e purceddhruzzi vengono confettati con miele o vincotto e decorati con zucchero a velo, anisini, pinoli, cannella e scaglie di cioccolato.

 

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