Non sempre si pensa che la diffusione del digitale riguarda sempre più anche il mondo del lavoro, perché la diffusione delle piattaforme informatiche sta profondamente cambiando il rapporto tradizionale tra uomo ed attività lavorativa, portata a rispondere alla legge della domanda e dell’offerta.
Quella che negli Usa si chiama gig economy, si basa su incarichi di breve durata e pagati a prestazione, sia on line, che off line, da imprese che garantiscono accesso immediato a lavoratori disponibili 24/7.
Ci troviamo di fronte ad una rivoluzione del mercato del lavoro, nel quale, per ora, le piattaforme stanno diventando un motore di scambi, con effetti assai positivi, poiché aumentano l’occupazione.
In base agli ultimi dati di cui siamo in possesso, nell’Ue oltre 47,5 milioni di persone lavorano regolarmente grazie ad Internet e di questi 3 milioni in forma esclusiva.
In Italia, si calcola che oltre due milioni adottino questo sistema.
Naturalmente, come per tutti i cambiamenti, c’è un prezzo da pagare, soprattutto per le fasce più deboli e per quanto riguarda l’aspetto formativo e concettuale: si tratta spesso di attività ripetitive ed a basso contenuto professionale.
Aggiungiamo che le richieste del mercato sono imprevedibili e, a causa di una concorrenza spietata, anche il reddito è fluttuante.
I prestatori d’opera godono di scarsissime tutele, a fronte di algoritmi che controllano e standard che vanno rispettati, in ossequio al giudizio dei consumatori, che determinano le tariffe.
Si replicano le situazioni di sfruttamento di antica memoria e di vera e propria merceficazione del lavoratore.
Si crea un ambiente veramente difficile, dove trovi facilmente i lavoratori, che paghi molto poco e dei quali ti potrai facilmente liberare, non appena non ne avrai più bisogno.
Un paradiso per gli imprenditori, ma un inferno per chi deve guadagnarsi da vivere.
Le maggiori piattaforme sono proprietà dei grandi colossi monopolistici, difficili da raggiungere e sensibilizzare e con piattaforme che operano in una sorta di limbo tra pubblico e privato, diventa complicata la tassazione e quasi impossibile la giurisdizione.
Qui emerge la questione di fondo determinata da questa nuova realtà: non c’è più un collegamento diretto tra posizioni del lavoro e diritti al welfare.
Va in crisi il nostro modello di società, se non si riconoscono ai lavoratori alcune garanzie fondamentali.
Le enormi sfide del cambiamento socio economico, costringono il welfare ad una rincorsa, per controllare l’aumento delle basse retribuzioni, della precarietà e dell’aumento della povertà.
Quelle che sembravano conquiste insopprimibili dei lavoratori, sembrano soccombere di fonte ai mutamenti radicali del mondo del lavoro, soprattutto perché appare impossibile continuare a governare i rapporti con un diritto del lavoro inadeguato ed inattuale.