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Varie notizie hanno riguardato la scuola, durante la torrida estate che, forse, ci stiamo lasciando alle spalle. L’ultima riguarda lo “ius scholae”, di cui si parla in Italia almeno dal 2013, che si riferisce ad un percorso di istruzione al termine del quale l’alunno straniero diventa italiano.

 

 

 

In realtà il fenomeno è assai consistente, perché un quarto degli studenti che frequentano le nostre scuole proviene da famiglie immigrate, ma sono nati e cresciuti nel nostro Paese e parlano l’italiano come lingua madre. E tuttavia non sono italiani e la loro cittadinanza è quella del Paese di origine dei genitori. In attesa che la politica trovi un accordo, per sanare una situazione che, logicamente, è già chiara e definita, vogliamo rivolgere la nostra attenzione ad un grande personaggio di scuola, italiano, che ha lasciato un segno indelebile nella nostra storia.

Stiamo parlando di Alberto Manzi, del quale, se fosse ancora tra noi, festeggeremo il centenario della sua nascita.

Autore e protagonista della celebre trasmissione televisiva “Non è mai troppo tardi”, ben presto la sua attività si trasformò in una leggenda mediatica, che lo aveva presentato come il “maestro televisivo”, agli albori della televisione in Italia.

Manzi aveva dato alla scuola una mole di contributi, non solo come insegnante, ma anche come umanista.

Autore di libri per l’infanzia, libri di testo, eserciziari ed enciclopedie: strumenti utilizzati per insegnare una vita ad alunni di tutte le età.

Negli anni ‘60 in Italia il numero degli analfabeti superava il 10% e non è un caso se il programma fu riconosciuto dall’Unesco, nel 1961, come uno dei programmi più efficaci per diffondere l’alfabetizzazione e 70 paesi realizzarono programmi di alfabetizzazione simili a “Non è mai troppo tardi”, imitandone o ispirandosi al suo format.

Quando ancora non si parlava di audience, si stima che almeno un milione e mezzo di Italiani impararono a leggere e scrivere grazie al “maestro Manzi”.

La sua felice intuizione metodologica, che sconvolse tutti gli addetti alla televisione dell’epoca, consisteva nell’aver lui compreso che “la televisione è fatta di immagini in movimento... per cui se io sto fermo venti minuti a parlare, addormento tutti”. E la soluzione, da lui escogitata, fu quella di disegnare: schizzi con il carboncino, all’inizio incomprensibili, per cui chi stava a guardare era incuriosito dal disegno, che via via prendeva forma e, nel frattempo, seguiva il discorso del Maestro.

Una lezione tre volte alla settimana, sia pure con un maestro brillante e capace come Alberto Manzi, non sarebbe bastata da sola a risolvere il problema dell’analfabetismo. Un ruolo fondamentale di supporto alla trasmissione fu operato dai 2142 PAT (Punti di ascolto) disseminati in tutt’Italia e realizzati con il Servizio per l’istruzione popolare.

Per tale motivo, il maestro, con grande umiltà, dichiarò: “il merito non è tutto mio. Io sono stato il pupazzo televisivo”.

Per accedere ai diritti elementari di ogni cittadino, era necessario saper comprendere ed utilizzare la lingua scritta.

E il maestro Manzi era riuscito a creare una empatia, che originava fiducia e, come seconda condizione, la curiosità.

Far riflettere i suoi telespettatori sul ruolo della lettura nella comprensione della realtà, li rendeva non semplici fruitori o destinatari del progetto di “Non è mai troppo tardi”, bensì attivi partecipanti.

E, per strana combinazione, le due problematiche che abbiamo affrontato in queste riflessioni, sembrano congiunte da un sottile “fil rouge”.

 

 

(Per approfondire: T.Convertini, L’ABC di Alberto Manzi maestro degli italiani,Eanicia,2024)

 

 

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