Un tratto caratteristico che la devozione pugliese ha attribuito nel corso dei secoli a Sant’Oronzo è il suo intervento volto a scongiurare epidemie, tempeste di fulmini e terremoti. Il primo caso risultò decisivo per il patronato su Lecce.
È noto infatti come la vox populi o quella del sacerdote e veggente Domenico Aschinia o quella di mons. Pappacoda o, in definitiva, le tre voci riunite in un unico coro attribuirono al santo la salvezza della provincia salentina dalla peste del 1656. La convinzione che Oronzo rendesse invulnerabile la propria città dalle epidemie è rivelata anche dall’epigrafe, visibile nel Sedile, che ricorda l’invito alla casa reale di stabilirsi tra le mura leccesi nel caso in cui Napoli fosse stata colpita da qualche contagio mentre la statua argentea, venerata in cattedrale in agosto, altro non è che un ex voto per lo scampato pericolo del colera del 1838.
Di tutt’altra origine è invece la protezione del martire contro i fulmini. In questo ambito pare abbia giocato un ruolo notevole l’iconografia. L’immagine del santo vescovo con ai piedi l’idolo di Giove (dio pagano della folgore) andato in frantumi risultava senza dubbio evocativa. Tuttavia è probabile che Oronzo abbia ereditato una caratteristica dell’antica patrona sant’Irene, la quale, in seguito ad una contaminazione agiografica con la ben più nota figura di santa Barbara, veniva altresì invocata durante le burrasche.
L’idea di un rapporto del santo con i terremoti dovrebbe invece risalire ai racconti della passio oronziana. Di sovente infatti essi mostrano i simulacri delle divinità pagane crollare dinanzi al martire, come se fossero stati investiti da una scossa sismica. In concreto tuttavia i leccesi furono convinti della presenza salvifica del patrono in occasione del tremendo terremoto del 20 Febbraio 1743. In quel giorno, un sisma con epicentro nel Canale d’Otranto, a soli 50 km dalla costa e con una magnitudo di 7º grado della scala Richter, venne avvertito in tutto il Meridione e provocò un violento tsunami che si abbatté su entrambe le sponde dell’Adriatico.
Centri come Brindisi, Francavilla Fontana o Nardò subirono danni ingenti ma Lecce ne rimase pressoché indenne. Nacque così la memoria del Patrocinio di Sant’Oronzo fissata appunto per il 20 Febbraio e celebrata anche nell’arte locale. L’esempio più notevole è la tela custodita in Santa Croce che mostra il martire benedire dal cielo la città mentre un cartiglio recita in vernacolo: «Foi S. Ronzu ci ni leberau / de lu gra terramotu, ci faciu / a binti de frebaru, tremulau / la cetate nu piezzu, e no cadiu. / Iddu, Iddu de celu la guardau, / e nuddu de la gente nde patiu. / È rande santu! Ma de li santuni / Face razie, e meraculi a migliuni».
Il capoluogo fu inoltre preservato dal terremoto il 19 gennaio 1833 (evento annualmente ricordato con una processione penitenziale mattutina) ed il 12 ottobre 1856 (episodio commemorato la terza domenica del medesimo mese col pellegrinaggio al santuario fuori le mura). La riforma liturgica degli anni ʼ70 applicata a livello locale ha purtroppo cancellato queste ricorrenze. Viene ancora officiato invece il giorno del ringraziamento del 27 agosto. Tale cerimonia rievoca ciò che avvenne la notte del 27 agosto 1866 quando, dopo aver avvertito una serie di moti tellurici, il popolo prese d’assalto la cattedrale e, sfondate le teche, afferrò la statua del patrono, improvvisando una processione tra alte suppliche ed infinite candele accese. Ed anche in questa circostanza, Lecce non ebbe a patire alcun danno.