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Esplorare la questione oronziana significa riflettere, oltre che sulle manifestazioni del culto, anche sulle fonti letterarie relative alla figura del nostro santo, valutando tanto le notizie in esse contenute quanto i loro silenzi.

 

 

Si tratta di un lavoro intrigante e diversi autori, in passato, vi si sono cimentati. È interessante quindi offrire delle riflessioni in merito così da proseguire il dibattito sul grande martire appulo.

Allo stato attuale delle ricerche, per quanto riguarda l’area leccese, non si conoscono fonti letterarie sul tema anteriori all’ultimo scorcio del XII sec. Il più antico documento oronziano oggi disponibile è infatti il famoso Diploma di Tancredi del 1181, conservato in copia nella Biblioteca Universitaria di Padova. In esso si attesta l’assegnazione di alcuni poderi nei dintorni della città da parte del conte normanno Tancredi d’Altavilla (1138-1194) al monastero dei Santi Nicolò e Cataldo, la cui chiesa tra l’altro si ammira anche oggi nei pressi del cimitero monumentale.

Nella descrizione di uno di questi fondi rustici si legge che esso confinava con una “viam que vadit ad Sanctum Arontium”. L’importanza di tale asserto è cristallina, non solo per l’antichità della fonte ma soprattutto perché la via citata, dopo tanti secoli, esiste ancora e non può che essere quella che l’attuale toponomastica definisce “Via di S. Oronzo fuori le mura”. Il nome attribuito alla contrada testimonierebbe dunque, almeno a partire da quell’epoca, una memoria oronziana. Con ogni probabilità un piccolo luogo di culto extraurbano, sebbene il documento non faccia parola della presenza di una chiesa o di un santuario.

Questi dati ricevono conferma da una seconda fonte autorevole, il Diploma di Ladislao del 1407. Si tratta di un documento, emanato dal re di Napoli, Ladislao d’Angiò (1377-1414), in cui vengono elencate le nundinae leccesi, cioè le giornate di fiera o mercato che avvenivano in città e che molto spesso erano legate a delle festività dell’anno liturgico. Un passo del testo recita: “Nundinae Sancti Ronzi ultimo die dominica mensis Augusti in porta Sancti Iusti”. Ad inizio ʼ400 quindi, nei pressi di Porta San Giusto (l’attuale Porta Napoli), era prevista, per l’ultima domenica di Agosto, una fiera che aveva un qualche legame proprio con la figura di Sant’Oronzo.

In definitiva, quali conclusioni è possibile trarre dalla breve analisi delle fonti sopra menzionate? Innanzitutto, è doveroso ammettere che i Diplomi non offrono alcuna notizia agiografica sul nostro santo. Essi però certificano, in maniera nitida, l’esistenza di un culto oronziano a Lecce. Tale culto, tra la fine del XII e gli inizi del XV sec., risulta tuttavia limitato ad un paio di luoghi ben precisi, circoscritto all’area extraurbana cui allude Tancredi ed alla porta di San Giusto. La fiera ricordata dal testo di Ladislao poi altro non doveva essere che una festa popolare agricola celebrata sul finire dell’estate. Si può allora pacificamente ammettere che, almeno nell’arco di tempo cui i documenti si riferiscono, Sant’Oronzo non fosse riconosciuto come il patrono della città e che la sua memoria restasse piuttosto marginale per i fedeli del posto. Queste logiche deduzioni però non escludono affatto l’idea che, in epoche ancor più antiche, il santo non sia stato venerato. L'ormai noto reliquiario di Nona in Croazia, presentando la più remota iconografia oronziana oggi conosciuta, schiude in tal senso nuovi scenari.

 

 

 

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