Nel corso della nostra inchiesta sulla figura di Sant’Oronzo sono stati già presi in considerazione alcuni notevoli documenti in cui l’immagine del protomartire pugliese viene fugacemente evocata, come i Diplomi di Tancredi (1181) e Ladislao (1407) o il problematico passo delle quattrocentesche Cronache di Antonello Coniger.
In un lavoro di questo tipo tuttavia è opportuno riflettere anche sul non detto, sui silenzi delle fonti letterarie, sull’assenza cioè del personaggio nei testi in cui invece ci si aspetterebbe di incontrarlo. Tale prospettiva infatti è da tenere in debito conto poiché è proprio sull’argomento della mancata presenza, sul “silenzio oronziano” dei documenti, che si è sempre basato lo scetticismo degli studiosi propensi a mettere in dubbio l’esistenza storica del santo.
Ebbene, prendendo in esame un arco di tempo alquanto lungo che va dal XIII agli inizi del XVI sec. è possibile individuare almeno tre fonti in cui il nome del grande martire salentino sarebbe dovuto in qualche modo comparire ed invece non vi si accenna neppure. La prima è l’iscrizione di Roberto Vultorico che fu vescovo di Lecce nel primo scorcio del Duecento. Fu lui a ricostruire nel 1230 la cattedrale della città (la seconda di cui si abbia notizia, dopo quella fatta erigere da Formoso Bene più di un secolo prima). Questo tempio, testimone tra l’altro del ministero di San Bernardino Realino, rimase in piedi sino all’epoca barocca, quando il Pappacoda edificò l’attuale duomo. Stando alle pagine della Lecce Sacra, la porta di questa cattedrale era sormontata da un’epigrafe che, celebrando lo zelo del Vultorico, ricordava come l’edificio sacro fosse dedicato alla Vergine Assunta. La facciata della principale chiesa cittadina del tempo insomma non presentava alcun riferimento ad Oronzo.
Una seconda fonte in cui risulta eclatante l’assenza di notizie sul santo è il De situ Japigiae del 1510, opera del celebre poligrafo Antonio De Ferraris detto Galateo (1444-1517). Questo medico, filosofo, astronomo nonché sacerdote di rito bizantino che conobbe personalmente addirittura il Papa Giulio II, fu autore della più antica guida della Terra d’Otranto a noi giunta. Ma, in quei capitoli, pur trattando di molte tradizioni agiografiche, si tace completamente sul primo vescovo di Lecce. Tuttavia, il documento in cui l’oblio della figura del martire appare davvero sorprendente è il Breviarium Lyciense. Si tratta del breviario in uso nella Chiesa leccese prima che andassero a regime le disposizioni del Concilio di Trento. Una copia custodita nell’archivio diocesano risale ai primi decenni del Cinquecento ma è pressoché accettata l’idea che il testo di tale breviario sia molto più antico e possa rimontare ai tempi del sopra menzionato vescovo Vultorico. In ogni caso, mentre il frontespizio dell’opera è dedicato a Sant’Irene, esaltata come protettrice della città, la memoria di Sant’Oronzo manca invece del tutto. Ciò è molto significativo. Fu la constatazione di un tale dato che spinse lo storico Pietro Palumbo a chiedersi apertamente se Sant’Oronzo non fosse in realtà solo un personaggio leggendario.
In definitiva, com’è possibile valutare gli elementi ora analizzati? Senza dubbio, essi dimostrano in maniera nitida come, almeno a Lecce, il culto oronziano fosse marginale se non addirittura spento fra il XIII e la prima metà del XVI sec. Questo però non implica necessariamente il fatto che in epoche ancor più remote il santo non sia stato conosciuto e venerato nel territorio di cui in seguito sarebbe divenuto patrono.