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La cittadina di Turi è nota per le squisite ciliegie e la generosità degli abitanti. Tuttavia l’aspetto che meglio la contraddistingue è l’essere un’autentica roccaforte del culto oronziano. Al punto tale che un vero turese non può non dirsi cristiano e non sentirsi figlio del grande martire appulo. A Turi sant’Oronzo è più che un patrono, è praticamente un lare, il padre da tutti riconosciuto e amato.

Ciò spiega anche la passione con cui si vive la sua memoria liturgica, ben simboleggiata, tra l’altro, dall’imponente carro trionfale che, a partire dall’Ottocento, caratterizza gli annuali festeggiamenti.

Da dove viene tanto fervore? Un documento di primaria importanza per comprenderlo è la Distinta Relazione. Si tratta di un testo, a tratti non privo di tinte leggendarie o popolaresche ma comunque attendibilissimo negli elementi principali, composto nel 1757 da tre sacerdoti turesi al fine di illustrare la devozione locale verso il santo.

In quelle pagine si narra come, durante la terribile pestilenza del 1658, Sant’Oronzo apparve ad una vergine promettendo la fine del morbo se il popolo di Turi si fosse convertito e rivolto a lui con fiduciosa preghiera. In tali, drammatiche, circostanze sarebbe avvenuta anche la riscoperta della grotta, sita nei dintorni del paese, dove secondo una tradizione immemorabile il vescovo si rifugiò per celebrarvi i misteri divini coi neofiti del posto, prima di essere arrestato e condotto a Lecce a subire la pena capitale. Sempre nel medesimo luogo il santo si sarebbe manifestato ancora nel 1726 al francescano Tommaso da Carbonara, suo devoto, chiedendo la costruzione di una cappella e la presenza di una croce affinché si potesse venerare la grotta a lui consacrata. Da quel momento il culto crebbe sensibilmente: torme di fedeli venivano in pellegrinaggio al sacro antro, asportavano le stalattiti, bevevano l’acqua lì rinvenuta, lasciavano ex-voto. I miracoli si moltiplicarono. Quando poi i turesi attribuirono a Sant’Oronzo anche lo scampato pericolo dal terremoto del 1731, ecco che fu naturale riconoscerlo davvero come patrono anche se il clero della cittadina ottenne la recita dell’Ufficio proprio del santo solo nel 1819 da Pio VII.

Scorrendo questi dati viene da dire che il legame tra il martire leccese e Turi sorge nella seconda metà del XVII sec. Ma sarebbe una conclusione del tutto errata. Le ricerche del prof. Osvaldo Buonaccino d’Addiego hanno documentato come già in occasione della siccità del 1627 ci si fosse rivolti al santo vescovo e soprattutto come il nome “Oronzo” fosse presente tra il popolo turese già nel Cinquecento. Una luce ulteriore è stata accesa inoltre dai recenti studi dell’archeologo Donato Labate che ha datato i resti dell’antico altare visibile nella sacra grotta al Tardo Medioevo. Quelle venerande pietre testimonierebbero dunque un culto, almeno in quell’ambiente ipogeo, davvero molto più antico di quanto non si pensi. Ci sia permesso qui di suggerire una pista interessante: la venerazione di Sant’Oronzo a Turi mostra alcuni punti di contatto con quella dell’arcangelo Michele in area garganica. Entrambi i santi appaiono in una grotta che resta impregnata dalla loro potenza benefica, entrambi salvano il popolo da un tremendo contagio e se ne dichiarano protettori. Il principe delle milizie angeliche lotta contro i demoni, il martire salentino è un demolitore di idoli, dietro i quali i demoni si celano. Un culto oronziano è comunque attestato in Daunia e nella stessa zona di Monte Sant’Angelo. Forse le due figure non sono così lontane.

 

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