Abbiamo già parlato, su queste pagine del busto argenteo di Sant’Oronzo oggi custodito al Museo Diocesano di Lecce ma un tempo veneratissimo dai fedeli.
Come detto, la magnifica opera è connessa con la di peste del 1690-91, la seconda ondata di contagi che si abbatté sul Meridione nel XVII sec., lasciando tuttavia quasi immune la nostra terra (CLICCA QUI). La base del simulacro mostra infatti una scena in cui il santo scaccia dalle mura della città la peste, allegoricamente raffigurata come un’orrida vecchia (iconografia questa nota anche in ambito ostunese).
Ciò che ora narriamo è invece il miracoloso episodio di cui la statua si rese protagonista. Stando alle Cronache Leccesi di Giuseppe Cino, lo scultore Domenico Gigante ripeté per ben tre volte la fusione del busto ma il viso del martire presentava sempre un’imperfezione: una sorta di piccola cicatrice fra le sopracciglia. Scrisse allora al vescovo Michele Pignatelli, chiedendo consiglio sullo strano ripetersi dell’imprevisto. Il santo sarebbe però apparso in sogno ad un religioso, rivelando come quel segno gli appartenesse: se l’era procurato da ragazzo, in seguito ad una caduta!
Ovviamente, siamo tentati di sorridere dinanzi ad un tale racconto. Ma, a dire il vero, come tutti i curiosi aspetti della religiosità popolare, esso svela retroscena molto più profondi. Dal punto di vista storico, la cosa è senza dubbio una manifestazione della ricerca delle cosiddette “vere immagini”, che tanto caratterizzò l’arte della Controriforma. L’immagine sacra non è qualcosa di fine a sé stesso ma esprime una presenza viva, concreta del santo raffigurato tra il popolo che lo venera come patrono. Attraverso l’immagine, i fedeli possono entrare in contatto immediato con il santo, pregarlo, parlargli con sincerità, confidarsi, sentirlo vicinissimo, familiare, sfondando di fatto il muro di carta dei secoli trascorsi. Erano questi i sentimenti dei nostri padri, dei nostri antenati quando accolsero questo busto sul principio del giugno 1691. Ed oggi? Ne siamo certi: Sant’Oronzo è tra noi. Ci conosce tutti, ad uno ad uno, personalmente. Conosce le nostre sofferenze ed i nostri sacrifici.
In questa Settimana Santa altro non vorrebbe fare che condurci tutti ad adorare la croce di Gesù ed a mostrarci il sepolcro vuoto, per cui lui ha sparso il suo sangue. E lo ha fatto per tutti noi, perché i suoi figli potessero ricevere il tesoro più grande, che è la luce della fede cristiana. Senza dubbio, Oronzo è pronto a proteggerci, a ricordarci che questo tempo di prova è stato permesso per trarne un bene maggiore, a chiedere al cielo che i giorni di questo flagello siano accorciati. Preghiamolo, dunque. Facciamolo con l’orazione scritta dall’arcivescovo Michele Seccia. Facciamolo come i fedeli che ci hanno preceduto.