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Improvvisamente l’altro pomeriggio il cielo su Chişinău si è oscurato e nuvole cariche di pioggia hanno ricoperto minacciose la città. Quasi come un segno della tensione alta che si respira qui ai confini tra la Moldova e l’Ucraina.

 

 

 

Quello che non doveva succedere, è successo. Diverse esplosioni sono state udite a Tiraspol, capitale della Transistria, vicino all’edificio del ministero della Sicurezza. Siamo nella regione separatista filorussa della Moldavia al confine con l’Ucraina, a 30 chilometri da Chişinău. Le esplosioni sono avvenute a due giorni dall’attacco missilistico ad Odessa e in un momento in cui la guerra lanciata dai russi sembra essere entrata nella fase due: l’espansione verso l’Ucraina meridionale, fino a raggiungere la Transnistria. Una piccola enclave separatista, non riconosciuta da nessuna delle nazioni dell’Onu (nemmeno da Mosca) nata da un’insurrezione armata avvenuta dopo la caduta dell’Unione sovietica nel 1992. Ne abbiamo parlato (GUARDA) con il vescovo mons. Anton Cosa, il cui territorio comprende anche la Transnistria con 6 parrocchie.

Partiamo dall’attacco missilistico su Odessa. Vi preoccupa. Non temete che sia il segnale che la guerra si stia avvicinando alla Moldova?

Sì, ci preoccupa. Non era ancora iniziata questa guerra e già si parlava di questa strategia. Ricordo già ai tempi dei giochi olimpici di Pechino. Vedendo poi la fortissima resistenza del popolo ucraino, ci siamo detti che forse i russi non avrebbero avuto la possibilità di arrivare qui da noi. Se anche però arrivassero, non si replicherebbe la stessa situazione in Ucraina perché i moldavi non combatterebbero. Non farebbero resistenza. Sarebbe piuttosto come un’altra Crimea.

Perché?

Perché la metà della popolazione moldava è pro russa. Lo era prima di questo conflitto. Lo è anche oggi. È un fenomeno difficile da capire e gestire. La metà sta con la Russia. L’altra metà con gli ucraini. Il nostro Paese è piccolo e abbastanza debole e ci siamo divisi. Per questo non ho paura oggi di una guerra o dei combattimenti che possono venire da fuori. Ho paura che questa crisi possa generare qui situazioni di confronto tra pro russi e pro ucraini.

Ha paura di una guerra civile?

Non tanto di una guerra civile quanto piuttosto di tensioni e scontri tra i diversi gruppi.

Chi sono i pro russi?

Tanta gente qui in Moldova parla la lingua russa. Molti addirittura sono nati in Russia e sono venuti qui in passato per motivi di lavoro, come si faceva tra le diverse Repubbliche Sovietiche. Ci sono poi tanti che hanno lavorato in Russia e che oggi ricevono la pensione dalla Russia e forse anche altri aiuti. È chiaro quindi che i legami siano ancora molto stretti. Il fenomeno è molto complesso. Ci sono poi dei gruppi organizzati e di partito che promuovono questa ideologia di ritorno alla unione totale alla Russia come lo avevamo avuto durante l’Unione Sovietica. E ci sono persone che vedono il loro futuro in Russia convinti che solo così possiamo sopravvivere come paese. Sulle decisioni pesano inoltre le preoccupazioni per la mancanza di gas e petrolio, il conseguente rincaro dei prezzi e la dipendenza della Moldova dalla Russia. Una interdipendenza che era stata pensata e progettata per tutti i Paesi dell’area sovietica. C’è poi la Transnistria dove la stragrande maggioranza della popolazione guarda alla Russia e dove abbiamo 6 parrocchie.

Stanno arrivando notizie di movimenti di armate russe in Transnistria. Vi preoccupa questa presenza militare a pochi chilometri da qui?

Non è una cosa nuova. Noi abbiamo avuto sempre la presenza di militari dell’armata russa.  Sappiamo che sono lì.

Ma si parla di un aumento della presenza militare.

Tutto era già qui. I nostri politici, fin dagli anni ‘90, hanno sempre chiesto ai russi che questi arsenali fossero distrutti con l’impegno anche di lasciare il Paese. Ciò non è successo ma fino ad oggi abbiamo vissuto in pace. Non abbiamo avuto grandi preoccupazioni. In questa fase così delicata bisogna evitare ogni provocazione.

Quindi, quale strada percorrere?

Quella negoziale. Era la strada che si stava percorrendo qualche settimana fa con gli incontri delle delegazioni russe e ucraine in Bielorussia e in Turchia. Penso che i negoziati siano importanti ma credo che vadano sostenuti con la presenza al tavolo dei colloqui anche di altri paesi che facciano da mediatori. Perché i negoziati tra due non portano a niente. È questa la sfida più grande. I negoziati dovrebbero ripartire altrimenti questo conflitto si prolunga all’infinito e distruggerà tutto. Nessuno si salverà. Nessuno rimarrà sulla terra Ucraina. Tutti partiranno e fuggiranno via. E li sarà un campo di battaglia. Non finirà. Tutti pagheremo questa guerra che già sta avendo un costo altissimo.

Dopo l’Ucraina e la Georgia, anche la Moldavia ha presentato il questionario per chiedere l’adesione all’Unione europea. Lei come legge questo desiderio del popolo di entrare a far parte dell’Ue?

Più che un desiderio del popolo credo sia stato piuttosto un invito a fare un passo avanti a seguito di quello che stanno facendo i georgiani e gli ucraini. Bisogna tenere presente che tutto il governo, l’attuale presidente e la maggioranza parlamentare sono filo europei. Ma anche nella maggioranza non tutti sono convinti che sia questo il momento giusto per fare questo passo. Attenzione a non stuzzicare troppo l’orso perché se disturbato, potrebbe reagire.  Ci vuole prudenza.

Cosa la preoccupa di più in questo momento?

Temo un proseguimento di questa guerra armata con i russi che dichiarano di aver vinto e con i morti che questa guerra continuerà invece a fare sul terreno ogni giorno. Temo anche le provocazioni che possono partire da dentro il nostro Paese e che rischiano di dare ai russi un pretesto in più per intervenire.

Insomma, una Transnistria come il Donbass?

Non nella stessa maniera. Dico di stare attenti alle provocazioni perché ci possono fare male. Cosa mi aspetto? Penso che come Paese siamo cresciuti e spero che possiamo mettere in campo tutte quelle forze positive che abbiamo scoperto di avere, affinché il paese possa rimanere fedele ad una sua vocazione: essere un paese cristiano che desidera imparare dall’Unione Europea tutto quello che è buono, a prescindere dalla sua appartenenza o meno all’ Ue e continuare al tempo stesso ad avere nuovi rapporti con i russi e gli ucraini così da costruire non soltanto la pace ma con la pace, raggiungere quel benessere che la popolazione e il paese moldavo attendono.

 

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