Nei giorni scorsi, in prossimità delle feste pasquali, il vicario generale dell’arcidiocesi di Lecce, don Vito Caputo, ha inviato ai parroci, ai padri spirituali e ai priori delle confraternite una lettera circolare al fine di rammentare alcune indicazioni circa le celebrazioni del Triduo pasquale “fulcro dell’intero anno liturgico”.
Al primo e al secondo punto della circolare (LEGGI), don Vito, richiamando la Lettera “Paschalis sollemnitatis” della Congregazione (oggi Dicastero) per il culto divino del 16 gennaio 1988 (LEGGI), ricorda l’obbligo di celebrare il Triduo pasquale soltanto nelle chiese parrocchiali. “È consentita - scrive il vicario - la suddetta celebrazione negli ospedali e nelle carceri”, solo a condizione che il Triduo si celebri nella sua interezza.
“Non è consentita – prosegue il vicario generale -, se non con esplicito permesso dell’arcivescovo, la celebrazione del Triduo in altri luoghi diversi dalla parrocchia, sia nelle chiese sedi di confraternite, sia nelle cappelle e negli oratori privati negli istituti religiosi ad eccezione dei monasteri di clausura”.
Ma dove si fonda tale divieto? Perché è preferibile restringere il cerchio dei riti del Triduo alle chiese parrocchiali? La citata lettera del Dicastero per il culto divino, lo spiega tra le righe al n. 43: “È molto conveniente che le piccole comunità religiose sia clericali sia non clericali e le altre comunità laicali prendano parte alle celebrazioni del triduo pasquale nelle chiese maggiori”.
Ma perché questa indicazione? Una spiegazione pastorale e più convincente giunge da un documento del 2019 del Consiglio episcopale della diocesi di Roma a firma del cardinale vicario, il salentino Angelo De Donatis (LEGGI). In esso, si insiste sulla necessità di riscoprire la centralità della parrocchia in quanto “casa di famiglia” e “comunità di fede”, per questo è giusto far convergere nelle chiese parrocchiali le celebrazioni per il Triduo Pasquale. Lo stesso documento, inoltre, invita ad evitare che la “la Veglia Pasquale sia riservata a gruppi particolari”.
“San Giovanni Paolo II - scrive De Donatis - nella Esortazione Christifideles laici, ha sottolineato che: 'La comunione ecclesiale, pur avendo sempre una dimensione universale, trova la sua espressione più immediata e visibile nella parrocchia: essa è l'ultima localizzazione della Chiesa, è in un certo senso la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie. È necessario che tutti riscopriamo, nella fede, il vero volto della parrocchia, ossia il mistero stesso della Chiesa presente e operante in essa: anche se a volte povera di persone e di mezzi, anche se altre volte dispersa su territori quanto mai vasti o quasi introvabile all'interno di popolosi e caotici quartieri moderni, la Parrocchia non è principalmente una struttura, un territorio, un edificio; è piuttosto “la famiglia di Dio, come una fraternità animata dallo spirito d'unità”, è “una casa di famiglia, fraterna ed accogliente”, è la “comunità di fedeli”. In definitiva, la parrocchia è fondata su di una realtà teologica, perché essa è una comunità eucaristica. Ciò significa che essa è una comunità idonea a celebrare l'Eucaristia, nella quale stanno la radice viva del suo edificarsi e il vincolo sacramentale del suo essere in piena comunione con tutta la Chiesa. Tale idoneità si radica nel fatto che la parrocchia è una comunità di fede e una comunità organica, ossia costituita dai ministri ordinati e dagli altri cristiani, nella quale il parroco - che rappresenta il vescovo diocesano - è il vincolo gerarchico con tutta la Chiesa particolare» (Christifideles laici, n. 26)'”.
“La parrocchia - spiega il documento del Consiglio episcopale di Roma -, in quanto comunità radunata attorno alla mensa della Parola e dell'Eucaristia è il luogo dell'apostolato comunitario, perché fonde insieme tutte le diversità organiche, affinché vi risuoni la sinfonia composta dallo Spirito. È già nella parrocchia, pertanto, che si esprime la vocazione universale della Chiesa per cui il particolare è parte di un tutto organico e ciascuno è a servizio di tutto il corpo. Ogni battezzato è invitato, così, ad apportare alla comunità particolare il proprio contributo e l'espressione del proprio carisma a ogni iniziativa apostolica missionaria della propria famiglia che la parrocchia rappresenta (Cfr. Apostolicam Actuositatem, n.10)". Più chiaro di così.